Un uomo e una donna che decidono di sposarsi sono in genere mossi da un profondo coinvolgimento affettivo, da una forte attrazione fisica e soprattutto da un obiettivo comune: condividere la vita “nel bene e nel male, finché morte non li separi; di aiutarsi vicendevolmente a sviluppare le proprie potenzialità e risorse grazie anche alla cura e alla dedizione del coniuge.
Scrive E. Fromm al riguardo:
“Amare è servire. Quando mi pongo di fronte a una persona posso considerarla da due punti di vista. Posso tenere conto della sua realtà, di ciò che è. Ma posso anche fare attenzione prevalentemente a ciò che può diventare: In ogni persona esiste un IO profondo che chiede urgentemente di essere realizzato. Amare una persona significa mettersi al servizio di questo IO per aiutarlo a realizzarsi.”
E' un messaggio forte: significa essenzialmente vivere l'amore come dono di sé all'altro e per l'altro, nella gratuità più completa, senza se e senza ma. Questo amore incondizionato suona però alle nostre orecchie come troppo altisonante, un miraggio impossibile da raggiungere, distante emotivamente dalla relazione che ogni coppia vive nella realtà di ogni giorno trascorso insieme.
Il coniuge in molti casi rappresenta infatti “l'alterità”, un 'istanza estranea che, come e in quanto tale, può ostacolare o ostacola direttamente l'espandersi del proprio Io, sempre troppo bisognoso di apparire con modalità ipertrofiche!
Paul Ricoeur ha più volte osservato che l'altro, “non essendo assimilabile”, segna il limite della dilatazione del proprio Io e in quanto tale può, senza volerlo, togliere spazio, diventare un nemico da cui difendersi. Un esempio banale può rendere chiaro questo concetto: se lui ama la montagna ma lei invece adora il mare ecco che la vacanza estiva diventerà motivo di conflitto; entrambi infatti avvertiranno prevalentemente solo il limite che la situazione impone. Cedere (e alla prima opportunità rinfacciare in mille modi; in tal caso la strategia più subdola da attuare è forse nel comunicare che: “lo faccio solo per te”), oppure opporsi e lottare per imporre la propria volontà cercando di sopraffare l'altro (mors tua vita mea).
Entrambe le opzioni comportano conseguenze pesanti per la relazione. Se uno dei due cede solo per convenienza o per quieto vivere rimane aperto fra i due un contenzioso non dichiarato,sotterraneo ma proprio per questo potente, che mina la relazione perché essa perde di autenticità e fiducia reciproca; il conflitto aperto è per certi aspetti più sano se non viene esasperato, ma se ripetuto nel tempo diventa logorante, rischiando di identificare nell'altro solo un nemico da cui scappare. Il rifiuto dell'altro come alterità, come “un non me” diventa insostenibile quando la persona teme di perdere la sua libertà, intesa in modo adolescenziale, come assenza di limiti, di confini, di poter fare ciò che si desidera come e quando si vuole.
Come acutamente scrive Fromm in “Psicanalisi dell'amore”, non esiste una libertà in assoluto, ma atti attraverso i quali operiamo delle scelte: infatti nel momento in cui la persona attua una scelta rinuncia a qualcos'altro. L'idea narcisistica, infantile e onnipotente che identifica la libertà con l'assenza assoluta di limiti e di rinunce risulta naif. Infatti ogni apparente astensione da una scelta diventa comunque una scelta.
Il principio di libertà in amore è vincolato al principio di responsabilità verso se stessi e verso l'altro. E' una vera e propria presa in carico in primis di se stessi che indirizza e guida verso il senso che si desidera dare alla propria vita e per cui vale la pena attuare delle scelte, le cui conseguenze ricadranno all'esterno. Essere ben consapevoli di ciò aiuta a circoscrivere il problema e a individuare ulteriori mete da raggiungere.
Incamminarsi (nel senso di tensione) verso l'adultità (personale e di coppia) significa essenzialmente saper controllare gli impulsi senza reprimerli ma incanalarli verso “mete di intelligenza emotiva” (Goleman Daniel, Intelligenza emotiva). Freud dal canto suo già alla fine dell'Ottocento aveva descritto i processi di sublimazione pulsionale attraverso cui pulsioni sessuali o aggressive potevano essere incanalate in mete socialmente accettate.
Concetti come libertà, responsabilità, legame, relazione amorosa non si pongono fra loro agli antipodi, ma rappresentano sinergie essenziali per costruire un rapporto affettivo duraturo e profondo.
L'illusione onnipotente (frutto di un narcisismo ipertrofico, erede legittimo della nostra epoca) che libertà significhi essenzialmente libertà dai vincoli/legami inibisce l'amore impedendone una crescita sia in senso di attrazione sessuale (si sperimenta attualmente un clima di apatia del desiderio) che di “fecondità emozionale” (come creatività, fantasia, gioco, complicità), con il pericolo di vivere un' affettività frammentata e sterile.
I diritti (di ogni tipo e per tutte le esigenze) che ognuno accampa nei confronti dell'altro imperano prepotentemente in nome di una libertà di “sentire emozionalmente”. Quante volte nello studio di uno psicoterapeuta, come pure confidenzialmente fra amici, si sente affermare, addirittura nei film: “Che colpa ho se non lo amo più!” (L'ultimo bacio di Muccino). Asserendo ciò si delega solo alla passione, spesso fin troppo passeggera e “triste” il potere di decidere cosa sia meglio per l'individuo o cosa possa renderlo felice. Alberga ormai da tempo nel pensiero dell'uomo e della donna la convinzione che la felicità sia un diritto a prescindere da tutto il resto: coniuge, figli, impegni presi. Solo sperimentando in modo doloroso le conseguenze di alcune scelte dettate dagli impulsi, a volte, si capisce di aver rinunciato ad un amore totalizzante per accontentarsi di brandelli di esso: manca in molte storie, completamente, la dimensione trascendentale.
(Euripide: Non è amante chi non ama per l'eternità, (nella Troade) e ancora Sofocle: Ciò che non è Zeus è niente, in Trachinie, Esodo).
Si assiste attualmente alla crescita di tre fenomeni che minano alle radici il concetto d'amore con la A maiuscola (per il quale al centro della relazione non dovrebbero essere posti i bisogni di lui o di lei, ma la relazione stessa, il “noi” della relazione):
- l' individualismo autoreferenziale, la cui icona è ben rappresentata dall'immagine di un punto (L'Io) circondato dal cerchio anonimo indifferenziato (all around you), oppure dallo slogan “imagine you can”;
- l'ossessione e la cura pedissequa del corpo trattato come oggetto di culto da esibire, come strumento di seduzione e di potere sull'altro;
- l'esasperata esaltazione della dimensione emozionale (vedi per esempio le “docce emozionali” delle beauty farms) e passionale (fare sesso, consumare sesso) come unici parametri per verificare la validità/ilvantaggio di una relazione d'amore (vedi Giddens A., La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne).
Un matrimonio stabile nel tempo dovrebbe tendere a realizzare un'unità dei due che rimangono distinti e diversi, non in una fusione quindi, ma nell'espressione di due libertà che si incontrano (il poeta libanese Kahlin Gibran evoca nella sua poesia “Il matrimonio” l'immagine delle due colonne del tempio:
“...E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
e la quercia e il cipresso non crescono l'una
all'ombra dell'altro”).
Lui e lei rimangono in una sana relazione se riescono a sentirsi responsabili della libertà dell'altro, nel favorirla. Non è semplice né scontato, è infatti il compito di una vita da trascorrere insieme, ma realizzando questo progetto di cura dell'altro e di dono di sé all'altro si diventa consapevoli della propria essenza: essere nati per amare l'altro. Questa è una verità che solo attraverso l'esperienza della relazione d'amore ci viene rivelata.
Grazie al compagno, sposo, si riesce a conoscere la propria essenza, nel prendere coscienza delle proprie paure, i limiti nella capacità di amare, il proprio egoismo.
L'altro diventa in questo caso uno stimolo verso un'autoconoscenza profonda. E' fisiologico nella coppia che si assista ad un altalenarsi di calma e inquietudine, dono e possesso, soddisfacimento e desiderio di nuovi orizzonti. Il filo conduttore deve rimanere la volontà di restare fedeli al progetto unitivo, e di essere però capaci di rinnovarsi insieme accettando le sfide che la vita lancerà in un cammino di continua liberazione l'uno con l'altro.