Sempre più frequentemente negli ultimi anni mi è capitato di prendere in analisi pazienti che vivevano in uno stato di profonda prostrazione e di forte sofferenza perché accusavano da diverso tempo i sintomi tipici dei disturbi del sonno e avendo fatto, nel corso degli anni, vari tentativi, spesso senza alcun risultato, di risolvere il problema, subivano adesso quella loro condizione con senso di impotenza e ansia.
Le persone che accusano disturbi del sonno appaiono inquiete e soprattutto fortemente angosciate dall'idea di trascorrere altre notti insonni come quelle già passate a fissare il muro della camera da letto o ad aggirarsi per la casa senza alcuno scopo o desiderio se non quello di prendere sonno, con l'ansia incontenibile di non essere efficienti il mattino seguente, di lavorare male e magari di essere rimproverati dal loro datore di lavoro. Questi pazienti si rivolgono allo specialista come ultima ancora di salvezza, nella speranza di cercare di risolvere il problema causa reale ed oggettiva di innumerevoli inconvenienti e disagi (non ultimo il timore di guidare l'auto in uno stato di torpore), desiderano “sedare” il sintomo perché a loro avviso individuano in esso l'unico motivo del loro malessere. Apparentemente ciò corrisponde a verità, ma solo limitandoci ad una lettura superficiale. Il sintomo, come ogni volta cerco di spiegare ai miei pazienti, è “partorito” dal soggetto stesso che accusa il disagio e assume in sé una valenza positiva, da accogliere piuttosto che semplicemente da sedare.
Mi spiego. La maggior parte dei sintomi psicosomatici invita indirettamente la persona a entrare in dialogo con esso, a non averne timore, perché l'accezione positiva che il sintomo nel suo manifestarsi porta in sé, ha diritto e soprattutto “caparbia volontà” di espressione. Il sintomo spinge a rivisitare la propria storia perché è come se il soggetto in passato e a tutt'oggi avesse immaginariamente definito le proprie esperienze ed emozioni, la sua vita stessa in un puzzle, costruito con tanti pezzettini incastrati insieme. Il sintomo ammonisce in modo magari sguaiato, ma autentico che (senza esserne consapevole) il paziente ha incastrato alcuni pezzetti o forse solo uno di essi in modo forzato, mentre “non era lì” che quel pezzetto del puzzle doveva essere collocato. Con pazienza e tenacia ci invita quindi a scomporre momentaneamente il quadretto composto e a mettersi in ascolto attivo del proprio mondo interiore.
Sinteticamente si può quindi azzardare ad affermare che dal timore del sintomo è necessario passare all'attenzione per esso, andando però un passo avanti, chiedendoci:
“Che cosa mi vuole comunicare il disagio che avverto e subisco e che mi procura così tanta sofferenza?”
Purtroppo i ritmi frenetici che la vita di ogni giorno ci impone non favoriscono un atteggiamento introspettivo consono all' assunzione di un un'analisi paziente e coraggiosa insieme delle dinamiche inconsce che governano il nostro agire. Il coraggio infatti è la prima condizione essenziale per mettersi in dialogo con il sintomo. Appare essenziale scomporre il puzzle che il paziente ha inconsapevolmente costruito della sua vita e poter riuscire a guardare con un senso di sana distanza emotiva, come fosse un osservatore esterno, almeno all'inizio del lavoro psicoterapeutico, tutti i pezzetti isolati, come se non fossero parte della sua storia. Questo lavoro può creare sconforto e risultare in alcuni casi troppo doloroso. Bisogna però prendere piena coscienza che il disagio vissuto, di cui il sintomo è l' interprete principale, obbliga ad una rilettura attenta e profonda delle proprie esperienze di vita.
Per quanto riguarda un possibile trattamento dell'insonnia all'interno di un percorso di psicoterapia è innanzitutto opportuno:
- definire il tipo di insonnia del paziente (essere in grado di stabilire se è primaria, secondaria, acuta o cronica, continua piuttosto che intermittente);
- Accertarsi che non esista una coesistenza di più patologie diverse nel paziente che sta richiedendo la psicoterapia (comorbilità) e nel caso in cui ciò si verificasse, con il suo consenso espresso ed esplicito, mettersi in contatto con il medico di base del paziente per una stretta collaborazione;
- Suggerire al paziente di consultare anche uno psichiatra per un trattamento farmacologico in caso di forme acute e transitorie;
- Iniziare con il paziente un percorso psicoterapeutico che si avvalga di un approccio non soltanto dinamico, ma che si avvalga e utilizzi tecniche di rilassamento psicofisico (come il training autogeno), che insegni determinate strategie di tipo cognitivo comportamentali adeguate al caso in questione.
Alcune indicazioni utili per favorire una corretta igiene del sonno.
Per facilitare il sonno è controproducente lottare in modo diretto contro l'insonnia, sforzandosi di prendere sonno con ogni mezzo o tipo di farmaco. Appare utile ed efficace mettere in atto una serie di semplici strategie comportamentali:
- Stimolare un rilassamento psicofisico che riduca lo stress e l' ansia, allenti la tensione fisica e soprattutto quella muscolare. Inoltre è essenziale riconoscere e allontanare dalla mente i pensieri automatici, disturbanti, tutte le preoccupazioni presenti. (A tal proposito un esercizio semplice quanto efficace consiste nello “spostare al non ora ma dopo” il motivo di preoccupazione: si suggerisce di scrivere su un foglio i pensieri disturbanti, le cose spiacevoli da fare o di cui doversi occupare e ripetere a se stessi che tutto ciò sarà fatto nei giorni successivi, non adesso ma, domani, o comunque in un futuro prossimo e certo ).
- Almeno 1 ora prima dell'ora stabilita per dormire è bene spegnere la televisione, il computer e iniziare una specie di “rituale” rilassante in cui il soggetto “accudisce” se stesso (per esempio prepararsi una tisana calda, ascoltare della musica rilassante, indossare il pigiama per la notte, se opportuno fare un bagno caldo piuttosto che la doccia).
- Importante è anche riservare il letto e la camera solo per dormire e non usarla come un salotto (per guardare la TV o leggere).
- Andare a dormire solo quando si ha veramente sonno e non al contrario quando si pensa che si “debba” dormire.
- Alzarsi dal letto se non si riesce a dormire e andare a fare qualcosa di rilassante finché non torna il sonno. Nel caso in cui non si riesca a riprendere sonno è utile abbassare ulteriormente la guardia e lo stato di allerta generale riuscendo a dire a se stessi che in fondo ciò non è un dramma, ma semplicemente un disagio transitorio. Se al mattino il soggetto starà male e non sarà in grado di uscire perché troppo assonnato allora rimarrà a casa per un giorno, prendendo un giorno di aspettativa dal lavoro.
- Svegliarsi alla stessa ora è molto importante per l'orologio biologico interno, cioè cercare di mantenere lo schema sonno-veglia costante evitando possibilmente eventuali pisolini diurni (che sono invece frequenti e salutari nella terza età in cui è fisiologico dormire meno di notte e prendere sonno nel primo pomeriggio).