I ritmi  della  vita quotidiana, nel lavoro come a casa, sono spesso estremamente frenetici. Si vive nel timore di non fare mai abbastanza; raggiunto un obiettivo se ne presentano altri e altri ancora da realizzare; si pensa e si rimugina su cosa o in quale altro modo avremmo dovuto fare e non ne abbiamo avuto il tempo oppure è mancata la volontà; non è raro che spesso si perda il filo conduttore da cui siamo partiti. In tali circostanze siamo disconnessi dalla realtà del presente che stiamo vivendo.

Unica effettiva palpabile risorsa.
Nei momenti di particolare tensione emotiva innestiamo un pilota automatico che conduce la nostra vita senza esserne pienamente consapevoli, e che ci “obbliga” a impostare l'esistenza in modo non consono e rispettoso dei nostri reali bisogni. Perdendo il contatto profondo con noi stessi il corpo, nostro eroico portavoce e anche nostro capro espiatorio, produce sintomi, cioè segni concreti del disagio vissuto, ma non ancora elaborato. Questi meccanismi sono avvertiti dal cervello come una condizione essenzialmente di pericolo da cui esso si difende con l'attivazione di quelle funzioni neurovegetative che normalmente vengono utilizzate in situazioni di fuga (flight) o di attacco (fight):
accelerazione cardiaca, aumento del ritmo del respiro che diventa più corto e alterato, aumento della tensione muscolare e dello stato di allerta. E' questa condizione di disagio psico-emotivo la causa principale dell'insorgere del sintomo. Ma proprio per questo motivo la sofferenza avvertita può diventare un'opportunità per riflettere e rivisitare il proprio stile di vita. Invece, non essendo sempre consapevoli del processo in atto, ci si accanisce nella ricerca del come sedare o rimuovere o addirittura negare il sintomo, mentre l'atteggiamento opportuno sarebbe in primo luogo quello di tentare di capire cosa esso esprime, in quanto siamo noi stessi che lo “partoriamo”, e in secondo luogo sarebbe opportuno costruire un ponte fra i nostri bisogni emotivi, il nostro “essere” più profondo e la realtà esterna con i suoi diktat.


In una condizione psicologica di stress acuto troppo frequentemente mettiamo in atto risposte disadattive (distress) che investono la sfera emotiva, cognitiva e comportamentale e che conducono velocemente a reazioni patologiche. Bisogna essere capaci di attivare risposte positive allo stress (eustress) che possano condurre sia ad un adattamento parziale o che ad una modificazione dell'ambiente stesso.
La sintomatologia classica correlata ad una situazione di stress acuto è caratterizzata da:
- Rigidità dei muscoli del collo e delle spalle.
- Tensione dei muscoli della mandibola e della fronte.
- Cefalea muscolo- tensiva.
- Extrasistolia. tachicardia.

Separati precocemente e spesso bruscamente dalle proprie radici coltivate nella sfera uditiva, visiva, cenestesica, siamo catapultati già nella prima infanzia in una realtà razionale, pragmatica, efficentista e competitiva, di comunicazione prevalentemente verbale; un'organizzazione di vita che lascia poco tempo per giocare, osservare, contemplare, ma piuttosto per produrre risultati (basti pensare agli impegni extrascolastici dei nostri bambini, a quanto poco tempo essi dispongono per il gioco libero, fantasioso, creativo, fonte di intelligenza emotiva e di serenità, o per sperimentare e gestire una “sana” noia). La comunicazione verbale riveste circa il 20% della comunicazione fra due esseri umani, lasciando il restante 80% purtroppo inesplorato e in continua attesa di essere utilizzato.


Infatti, già nel periodo intrauterino e poi nella prima infanzia il bambino conosce il mondo soprattutto in base a un approccio sensitivo, dell'esperienza diretta dei cinque sensi (vedere, ascoltare, toccare, assaporare, annusare); egli si forma e sviluppa le sue capacità psicoemotive attraverso una comunicazione analogica che parte dal rapporto con il suo corpo e si espande attraverso e grazie ad esso.
Pratiche di meditazione, rilassamento psicomotorio (training autogeno), consapevolezza emotiva (mindfulness) rappresentano appunto quel ponte fra l' esperienza sensoriale diretta dei primi anni di vita e il mondo del linguaggio verbale prevalente nel mondo adulto. Sono strumenti essenziali per stabilire un equilibrio psicoemotivo che, in ogni caso, non può prescindere dal corpo. In altri articoli ho illustrato i molteplici benefici del training autogeno, tecnica di rilassamento psicofisico applicata in ambito clinico, in questo mi limito a fare alcune osservazioni in merito alla mindfulness.


Mindfulness è una tecnica o pratica volta alla riduzione dell'ansia e dei pensieri automatici attraverso l'acquisizione di una consapevolezza sull' hic et nunc della propria vita, essa tende a sviluppare un'attenzione “curiosa” e costante sul presente, impedendo alla mente di farsi condizionare da esperienze passate negative o dalla paura di un futuro angosciante, attribuendo quindi valore e senso all'attenzione consapevole del momento attuale vissuto. Tale pratica tende a sviluppare un interesse sano e curioso, propositivo per il presente vissuto, volta quindi a trovare eventuali soluzioni ai disagi e non invischiata in problemi del passato o in un futuro ipotetico minaccioso e catastrofico. Si concentra sui bisogni e lo stato d'animo vissuti nell'oggi, ma all'interno di una progettualità di valori e di senso esistenziale che guardano un orizzonte da raggiungere. Non quindi un “cogliere l'attimo” o “carpe diem”. Ma un focalizzarsi adulto e consapevole sull'unica realtà posseduta: quella dell'oggi.
Mindfulness non è una forma di psicoterapia, ma un utile strumento integrativo affiancabile a tutte le discipline psicologiche volte alla promozione del benessere delle persone: varie forme di dipendenza, depressione, in ambito neurologico.
Mindfulness trae origine dalle tecniche della filosofia buddista senza però perseguirne gli obiettivi.


Questa pratica non è per tutti, presuppone infatti costanza, impegno, allenamento continuo al fine di ottenere un'attenzione consapevole sul proprio presente, l'unico momento da ognuno posseduto. Non è quindi una tecnica volta direttamente al rilassamento anche se questo si rivela esserne un beneficio secondario.
Perché questa pratica favorisce un benessere psicofisico?
Si parte dalla considerazione che la causa della sofferenza consista nel rifiuto delle emozioni avvertite come negative e da un coinvolgimento totale con queste emozioni e pensieri negativi, al punto di identificarsi con tali stati d'animo. Identificarsi con i pensieri porta a reagire ad essi e non a trovare soluzioni positive, efficaci. Infatti esercitando un controllo sui pensieri negativi (o cercando di evitarli) si ottiene l'opposto, cioè di trattenerli; se si accolgono con equilibrato distacco ecco che essi si dissolvono. Utile per mantenere il distacco è la seguente similitudine, ripresa dalla pratica del training autogeno :
“I pensieri disturbanti scivolano via, come l'acqua dai tetti quando piove”.
Appare invece necessario entrare in dialogo con tali pensieri ed emozioni, osservarli, senza evitarli, guardarli con distacco, sostituire comportamenti reattivi, distruttivi con scelte consapevoli che tendono a rispondere, a trovare soluzioni e non a reagire. Tale atteggiamento produce una riduzione di abitudini mentali disfunzionali.


E' necessario sottolineare e rendersi consapevoli della profonda differenza fra il processo di pensare e l'accorgersi di pensare che implica invece una distanza che si stabilisce fra pensare e essere, in netta contrapposizione al cartesiano cogito ergo sum.
Mindfulness aiuta ad osservare i pensieri come prodotti della nostra mente, come possibili identificazioni della realtà e non come la realtà stessa. Se riflettiamo riusciamo facilmente a capire che esiste un'enorme differenza fra dire “sono arrabbiato” e “mi sento arrabbiato”. Nella prima definizione io mi identifico con questo sentimento, nella seconda io riconosco questo sentimento come una semplice parte di una realtà che comunque si presenta molto più ricca, variegata e complessa.
In questa ricerca di consapevolezza presente, attenta e curiosa il respiro svolge il ruolo di protagonista.
Il respiro consapevole è alla base di ogni forma di meditazione e rilassamento perché stabilisce uno scambio di materia e di energia con l'ambiente esterno: attraverso l'espirazione il corpo espelle le molecole di anidride carbonica e inspirando entra in circolo l'ossigeno. Riuscire ad osservare il proprio respiro è fonte di benessere perché favorisce una rilassata attenzione consapevole che produce una diminuzione di cortisolo e un aumento della serotonina. Il cervello rilascia endorfine, dopamine e altre sostanze benefiche che favoriscono equilibrio psichico..


Il respiro è il punto di congiunzione tra il corpo e l'ambiente circostante, mettendo in comunicazione profonda l'Io con il corpo. Come G. Marcel sosteneva: “Io sono il mio corpo”.
Ciò svela un 'appartenenza (mio), ma anche un'essenza (sono). Per questo è impossibile essere in armonia ed equilibrio mentale se non lo siamo anche nel e con il nostro corpo. Se sono rilassato le spalle si abbassano naturalmente perché non devono sopportare i pesi dei miei pensieri negativi, la tensione cervicale si riduce perché non avverto più uno stato di allerta, la zona mascellare del volto ritorna decontratta perché cessa il bisogno di difendermi da un nemico esterno. Imparare a osservare il corpo produce benessere e consapevolezza, perché esso comunica costantemente e rappresenta i nostri stati emotivi.
Nella stessa misura in cui è possibile osservare il proprio respiro, prendendone le distanze, e gustare la sensazione di benessere e di estrema leggerezza che ciò produce, allo stesso modo è possibile osservare il fluire dei propri pensieri senza identificarsi con essi. Come fossimo sulla riva di un fiume ed osservare lo scorrere lento e armonico della corrente.
Termino con l'invito ad uscire da una logica binaria, mirata all'esclusione (aut – aut) che in questo contesto significa “o corpo o mente” ed entrare in una logica di connessione (et...et) che consideri sia i bisogni del corpo che della mente: solo fidandoci del linguaggio espresso dal proprio corpo e focalizzandoci sul proprio presente, vivo e pieno di significato, possiamo affrontare e trovare una risposta all'angoscia espressa nelle seguenti frasi estratte dalle “Lettere a un giovane poeta” di Rainer Maria Rilke:

 

“Quando l'angoscia incombe sulla tua luce e adombra tutte le tue azioni, ti prego di non averne troppa paura. Vorrei ricordarti che la vita non ti ha dimenticato. Ti tiene per mano e non ti lascerà cadere. Perché vuoi chiudere fuori dalla vita il disagio o la depressione? In fondo, anche se ora non sai dove condurrà tutto ciò, queste esperienze potrebbero portare al cambiamento che hai sempre sperato.”