... prendendo spunto dal romanzo di S.Fontani “L’amore nei giorni del coraggio”
Attualmente è difficile che l’amore fra due giovani viva e cresca nella nostra società postmoderna, definita “liquida”, pragmatica, che annaspa nell’immanenza di un hic et nunc frettoloso e superficiale. La relazione amorosa si presenta non soltanto estremamente complessa, ma anche precaria e costantemente vacillante, frequentemente caratterizzata da un individualismo che non pone al centro il rapporto affettivo fra due persone, ma il singolo soggetto incapsulato all’interno del suo Io ipertrofico e ingordo di apparire e carpire stimoli esterni. Ciò che conta è essere gratificati; si rivendica il diritto a essere felici ad ogni costo, a bandire la sofferenza, la morte, la malattia…tutto ciò che disturba l’equilibrio e la serenità del soggetto. I matrimoni diminuiscono, le separazioni aumentano in modo esponenziale, si mettono al mondo meno figli perché, questo sembra essere il motivo più profondo, i bambini interrompono o rallentano i progetti di carriera dei due, delle loro ambizioni. Spesso si legge che la causa sono i motivi economici che impedirebbero la realizzazione del desiderio di maternità; è vero solo in parte e solo per qualcuno.
Dunque l’altro deve gratificare e affinché questo si realizzi non può essere troppo diverso da sé. L’alterità spaventa. Si è diffidenti di fronte a ciò che non si conosce. Fa fatica entrare in empatia con l’altro. Si tende piuttosto a definire ciò che si presenta come differente attraverso stereotipi spesso denigratori. Per esempio l’amore che potrebbe sbocciare fra una giovane bianca e un giovane africano forse 10 anni fa non inquietava come invece può accadere adesso. Pregiudizi e stereotipi banali possono presentarsi come efficaci deterrenti nei confronti del desiderio dei due di amarsi. Non sempre naturalmente, ma esiste uno zoccolo duro, ignorante e ottuso su cui, a torto, fanno leva alcuni movimenti politici; si tende sempre più frequentemente ad assumere un atteggiamento proiettivo nei confronti dei disagi della nostra epoca. Disagi che invece non possono essere liquidati superficialmente nel riscontrare le responsabilità in base alla razza o al colore della pelle. Esiste una sola razza, la razza umana all’interno della quale ogni persona è unica. Questo humus socioculturale può talvolta condizionare negativamente la possibilità di stringere una relazione profonda con una persona dalla pelle diversa e il condizionamento più pesante deriva dal fatto che l’altro, in questo caso, come tale, visibilmente differente da sé, può rappresentare un rischio, un pericolo.
Per questi motivi ho scritto un romanzo, “L’amore nei giorni del coraggio” che mira principalmente a smantellare i vari pregiudizi e i pensieri preconfezionati sulle persone appartenenti ad altre etnie.
Nel romanzo si intrecciano 3 tematiche:
1) La ricerca di se stesso, cioè di Vincent, il protagonista, giovane keniano di 24 anni. La sua ricerca nasce dall’inquietudine, dal desiderio di far conoscere la sua musica in Europa, egli suona uno strumento a percussione, lo djambé. Il desiderio è di donare qualcosa di sé e non di chiedere come questuante alla ricca Europa. Vincent ambisce a divulgare la sua musica. Cede anche alle lusinghe di un sogno: diventare ricco come quei turisti visti nel lussuoso complesso alberghiero costruito vicino al suo villaggio di pescatori. La contraddizione di Vincent è scritta nel suo doppio nome: Vincent, nome europeo e Chuma, shuahili, che significa ferro. Tale dicotomia, oltre che nel nome, appare chiara nel suo stesso corpo possente, fiero, da guerriero greco, mentre i suoi occhi smarriti tradiscono l’inganno della sua scelta. Senza nemmeno rendersi consapevole, mosso dalla ingenua fierezza e dall’orgoglio di credere nei suoi talenti, scivola nella condizione di “viator”, pellegrino verso l’ignoto, lasciando la sicurezza delle radici, la sua terra, la famiglia. Sarà un lungo doloroso viaggio interiore che lo porterà, solo alla fine, a tornare a casa, alla sua terra “nostos”, con una nuova consapevolezza e abbracciando per sempre la sua identità, che all’inizio del viaggio era sfumata. Il Viaggio di Vincent /Chuma quando si riapproprierà delle sue origini, è fisico ma anche metaforico insieme, in quanto è il viaggio di ognuno di noi nella vita. Vincent è l’archetipo del viator descritto in tutta la sua fragilità, nelle sue paure; il doloroso viaggio verso il nord è l’unica premessa possibile per il suo ritorno in Africa da uomo libero e liberato dai pregiudizi che lo avevano fatto partire: non quindi il fallimento del progetto iniziale, ma il suo pieno compimento, appunto nostos, come il viaggio di Ulisse!
2) Tutto ciò si realizza solo ed esclusivamente grazie alla seconda tematica trattata nel libro che è quella centrale da cui si snoda tutto il racconto: l’amore per Viola, giovane e bella ragazza italiana dalla pelle bianca come il latte. Questo amore fra i due giovani è declinato in molte sfumature che esaltano la tenerezza fra i due, il profondo rispetto della loro differenza, che incute anche paura e diffidenza. E’ un atto di amore che rigenera e trasforma entrambi fino a condurli a scelte radicali. Solo attraverso l’amore per Viola Vincent comprende il senso di ciò che sta vivendo e gli dona la forza di esprimersi come persona; è l’amore che scalfisce la sua maschera e lo rende vero, nudo. Il giovane teme che l’amore lo renda vulnerabile risvegliando la sua sofferenza di essere umano ferito e umiliato. Alla fine prevale l’amore sulla paura e sul suo bisogno di difendersi. Viola risveglia in lui la fierezza e i valori in cui ha creduto e che lo sostengono di fronte alla giovane solo apparentemente pragmatica e razionale. Questa nuova consapevolezza interiore, svelata dall’amore, gli permette di dar voce all’istanza sociale che adesso emerge con forza dentro di lui,
3) Denuncia sociale. Il romanzo narra lo sfruttamento da parte dei mercanti di uomini africani durante il viaggio sui camion nel deserto, e in mare durante la traversata per raggiungere clandestinamente Lampedusa, dopo aver vissuto un drammatico naufragio che ha provocato la morte per annegamento della maggior parte dei compagni di Vincent. L’estenuante viaggio verso l’Italia appare da subito una sofferenza necessaria, premessa del suo ritorno. Il naufragio non è solo fisico, ma anche metaforico, in quanto decreta la morte dei suoi sogni; non a caso infatti il suo djambé finisce in fondo al mare. Viene sottolineato il subdolo, sottile razzismo che confina le relazioni in ruoli predefiniti (quello del vu cumprà di cui si rivestirà Vincent) o attraverso la tolleranza dell’”invisibilità” nel senso di un’accoglienza, o meglio di parziale tolleranza, a patto che l’altro ricopra il ruolo “preconfezionato” non manifestandosi come persona portatrice di diritti, e tanto meno di un cuore. In Italia Vincent si chiude emotivamente in se stesso, proteggendosi con la maschera del vu cumprà. Chiuso a riccio stringe i denti e va avanti con durezza e con un sottile sarcasmo; solo Viola riuscirà a rompere questo incantesimo e a dare nuovamente vita al giovane:
“Il salto dall’Africa all’Europa era stato traumatico, se l’avesse immaginato, forse non sarebbe neppure partito.
Ripensò ai pesci che tirava fuori dal secchio.
In quel momento si sentì anche lui un pesce destinato a una brutta fine, avrebbe preferito restare nel secchio a boccheggiare come “vu cumprà”, ma ora quella giovane donna lo spingeva fuori dall’acqua, e Vincent, senza nemmeno accorgersene, cominciò lentamente a respirare”
S. Fontani, L’amore nei giorni del coraggio, Albatros, Roma 2011, pag. 73