Svolgendo da molti anni la professione di psicologa psicoterapeuta ho potuto constatare, soprattutto negli ultimi cinque anni, una continua e crescente richiesta di un percorso di psicoterapia individuale o anche di coppia da parte di giovani ragazzi e ragazze, a partire dai diciassette anni.
Rispetto a quanto in genere era avvenuto in passato essi adesso decidono, in assoluta autonomia psichica, di intraprendere un lavoro di analisi ed elaborazione dei loro problemi con l’aiuto di uno psicologo. Se sono ancora minorenni ovviamente il percorso inizia solo con il consenso scritto dei genitori. Si instaura fra loro in tal modo, fin dall’inizio della terapia, una sorta di complice, silenziosa collaborazione che non vede più le due generazioni, quella dei genitori e quella dei figli, agli antipodi, in una teutonica lotta generazionale come era avvenuto all’inizio del secolo scorso (basti pensare, per esempio, a tutta la corrente letteraria dell’espressionismo, a Franz Kafka stesso, nella famosa “Lettera al padre”, ma anche molto più tardi, nella seconda parte del secolo, ai movimenti sessantottini).
Attualmente entrambe le due generazioni sono unite da uno stato d’animo simile: lo smarrimento, la paura sia del presente che del futuro, la difficoltà a definire e ad accettare sia i ruoli che le responsabilità reciproche. Non solo si crea un’alleanza a due, ma a tre, includendo il terapeuta che è, sia da parte dei genitori che dei figli, vissuto come ponte comunicativo e credibile, mediatore di situazioni emotive ansiogene. Ciò che appare al centro non è il conflitto, ma la ricerca di senso, mascherata frequentemente da un disagio generico non ben definito, o da un sintomo psicosomatico. Ho deciso volutamente di includere nella “categoria giovani” anche quei trentenni che, non avendo raggiunto un’autonomia economica, talvolta neanche affettiva, continuano a gravitare intorno alla famiglia di origine, spesso vivendo a casa, o comunque restandone dipendenti emotivamente. Essi sono coscienti del malessere che li pervade, anche se non sono capaci di individuarne l’origine.
Frequentemente mancano di una solida capacità introspettiva. Il disagio avvertito non ha sempre una connotazione specifica, spesso può esprimersi con uno stato di ansia generalizzata o, non raramente, attraverso l’insorgere di un attacco di panico oppure con sintomi di fobia sociale che trascinano lentamente il giovane in uno stato di isolamento e di emarginazione sociale e relazionale. Essi comunque avvertono, anche se vagamente, che il sintomo sottende qualcos’altro e hanno il desiderio di capire cosa stia accadendo nella loro vita. Non è molto significativo che la spinta a rivolgersi al terapeuta sia nata a causa di un disturbo prettamente somatico oppure dovuta a un’inquietudine, a un disagio esistenziale generico, non meglio identificato. L’aspetto positivo scaturisce dalla manifestazione stessa di questo bisogno, di iniziare un viaggio dentro di sé all’inizio incerto e sfocato. Pur nella sofferenza si avverte un’energia e un sano, schietto desiderio di affrontare il disagio.
Questa loro genuina disponibilità mi incita ogni volta ad accogliere con la massima apertura, ma anche con umiltà, la loro richiesta. Ogni volta che inizio una seduta con un giovane o una giovane paziente cerco di rendermi empaticamente pronta a un ascolto attento, non giudicante, mai paternalistico, volto a capire piuttosto che a insegnare. Oltre all’incremento della domanda di psicoterapia da parte di giovani pazienti è interessante sottolineare l’aumento della richiesta maschile, fra i venti e i venticinque anni, che negli anni passati era stata decisamente più modesta. La matrice del disagio, come analizzeremo, è simile a quella femminile ma, almeno apparentemente, più focalizzata su aspetti pratici della loro vita, come la difficoltà a terminare regolarmente gli studi universitari, o piuttosto la consuetudine ad andare fuori corso, l’uso e abuso di sostanze stupefacenti, alcoliche che hanno creato dipendenza, oppure problematiche inerenti al rapporto con l’altro sesso.
L’ aspetto di cui ci interessiamo in questo articolo emerge successivamente, nel caso in cui si abbia già istaurato un buon rapporto terapeutico e non in prima battuta, come questione principale. Se gli incontri proseguono non è raro che emergano problemi nella sfera sessuale come eiaculazione precoce, ansia da prestazione, impotenza, calo del desiderio. All’inizio della psicoterapia i giovani tendono a descrivere un quadro “normale” della loro vita, come se tutto andasse bene, solo il sintomo disturba l’equilibrio, come se fosse un elemento estraneo al loro corpo e alla loro mente e non invece da essi stessi “generato”. Il tipo di approccio terapeutico a cui mi affido è generalmente alquanto diverso rispetto al rapporto che normalmente instauro con gli adulti. È una metodologia che si avvale di molteplici tecniche e strategie comunicative, cercando di mantenersi però, il più possibile, autentica, non eccessivamente formale e essenzialmente centrata sulla persona in tutta la sua variegata ricchezza. Per prima cosa ho toccato con mano quanto sia necessario spogliarsi di tutto ciò che quasi spontaneamente noi adulti vorremmo esprimere, soprattutto atteggiamenti paternalistici e giudicanti; al contrario è utile porsi al fianco, accompagnarli e mai precederli, ascoltare con pazienza e fiducia di poter far emergere ciò che di vitale essi “rimuovono”: il bisogno inconscio di relazioni autentiche, sane e profonde.
Come ho già accennato non è facile che essi riescano subito a formulare il loro disagio e il motivo fondamentale della richiesta di psicoterapia. L’espressione e l’elaborazione delle emozioni più profonde sono passaggi complessi e spesso molto dolorosi da affrontare per ognuno di noi e quindi, a maggior ragione, anche per i giovani. Essi infatti sono fortemente influenzati dal linguaggio informatico e digitale, linguaggio criptico che a volte sfiora punte autistiche e che tende ad appiattire l’energia e le risorse del mondo emotivo. I massimi esperti in problemi giovanili, come Vittorino Andreoli, già da molto tempo, denunciano la presenza della sindrome di “alexitimia”, che impedisce di dare un volto alle emozioni, portando il giovane a vivere particolari stati d’animo in totale confusione, arrivando perfino a confondere la sensazione di paura, con la noia o la rabbia. Alcuni dei ragazzi che, negli anni passati, avevano gettato pietre dai cavalcavia delle autostrade, per colpire “per gioco” le auto, una volta interrogati dalla polizia, non erano stati capaci di definire lo stato d’animo e le emozioni provate e che cosa li aveva veramente spinti ad agire in tal modo.
Compito dell’esperto consiste anche nel saper attendere, restando pronto a cogliere il momento giusto per passare dall’ascolto empatico all’elaborazione del disagio. Se questo passaggio avviene troppo presto il giovane paziente si sente aggredito e il rischio che interrompa l’analisi è alto; se è troppo tardivo egli lascerà lo stesso il lavoro intrapreso perché lo trova insignificante e comunque non utile a risolvere i suoi problemi. In entrambi i casi il terapeuta rimane amareggiato perché ha perso l’occasione per rispondere in modo adeguato alla richiesta del paziente. Queste ed altre considerazioni maturate nel tempo mi hanno convinta a scrivere qualcosa sull’esperienza psicoterapeutica con i giovani pazienti, in alcuni casi addirittura giovani coppie ventenni o conviventi vicino ai trenta. E’ di prossima pubblicazione un mio saggio sull’amore e la sessualità fra i giovani di oggi e di cui questo articolo rappresenta solo una bozza introduttiva.
Il lavoro svolto ha analizzato come i giovani vivono i rapporti affettivi, quali sono le loro aspettative e soprattutto in che misura sono condizionati da un humus socioculturale che predilige l’ “individuo dall’Io ipertrofico” rispetto alla persona in relazione autentica con l’altro e soprattutto sottolinea quanto tutto ciò pesi sul rapporto d’amore in generale e sulla relazione sessuale in particolare.