In una coppia di giovani fidanzati, conviventi, giovani sposi arriva il momento (in genere tanti momenti) o a volte addirittura una fase della loro vita di coppia in cui sembra che uno dei due voglia prevaricare più o meno volutamente sull’altro.

E’ una fase parzialmente “sana” della relazione, che insorge in genere dopo il primo periodo di innamoramento, periodo magico in cui l’altro era ancora investito dei propri bisogni e delle proprie idealizzazioni sul partner e non si è ancora pronti ad assumere una visione realistica di colui o colei che sta di fronte all’altro. Preservare la propria solida identità, accogliere l’altro per come realmente è e rimanere in buona relazione con lui/lei non è né scontato né facile. E’ un processo complesso e lungo nel tempo, che gradualmente porta alla rivelazione di sé, proprio nel rapporto a volte conflittuale vissuto con il partner. L’altro in questo senso è lo strumento essenziale e insostituibile grazie al quale il soggetto riesce a entrare in profondo contatto con se stesso, con i suoi limiti, con le sue paure ancestrali, con le ferite più profonde, nascoste a se stesso prima ancora che all’esterno. L’altro diventa colui il quale “ stana” il partner dal torpore narcisistico che si pensa possa preservare e proteggere la propria identità.  E’ una conquista che si realizza con pazienza e ascolto empatico di se stessi prima ancora dell’altro.  Lo si sperimenta oltre che in coppia anche sul lavoro, con gli amici, nel rapporto genitori e figli, dovendo, in quest’ultimo caso, mantenere il ruolo genitoriale, di guida, senza però perdere la relazione e il compito educativo dei figli.

 A volte può accadere che, se veniamo contrastati, ci sentiamo minacciati e tendiamo a chiuderci nelle proprie ragioni. Queste dinamiche, vissute all’interno della coppia, sono ancora più articolate e complesse. Attualmente la tendenza a rompere le relazioni in caso di conflitto duraturo è sempre più in ascesa. Vige ormai da molto tempo il principio secondo cui ognuno ha il diritto di essere felice e se tale diritto ci sembra venga leso è facile pensare di doversi trincerare, difendersi da chi sembra che ci giudichi. Si giunge a ipotizzare che separarsi dall’oggetto stesso della relazione sia la scelta più sana e intelligente. Vari sono i meccanismi di difesa che si possono mettere in atto.  Accade che ci si chiuda in un mutismo selettivo con il partner, che si cerchi all’esterno della relazione di coppia gratificazione e rifugio oppure accade che esploda fra i due un conflitto aperto, una vera guerra per determinare chi dei due sia “il vincitore”, nel senso chi dei due detenga la ragione e chi debba invece soggiacere.

 Definiamo quindi che cos’è l’amore per analizzarne le criticità.

 L’amore autentico è una relazione oggettuale che presuppone:

  1. un’immagine consistente, fondamentalmente stabile e realistica di sé;
  2. un’immagine attendibile e realistica dell’altro;
  3. la capacità di entrambi di favorire e mantenere una relazione matura. “Relazione matura” in questo senso significa che essa non rappresenta una coazione a ripetere di modelli relazionali acquisiti nel passato, ma che i due “si affidino” alla trasformazione che la nascita e poi l’evolversi di ogni nuova relazione di coppia esige. Oltre a quanto espresso è necessario che entrambi siano anche in grado di sopportare e integrare le dinamiche ambivalenti che ogni “sana” relazione comporta nel suo sviluppo e nella sua metamorfosi continua; proprio come in parte accade anche nella relazione genitore - figlio.

 

 Appare necessario saper tollerare l’ambivalenza insita in ogni relazione umana. La diversità dell’altro all’inizio ha fatto innamorare lei/lui, ma con il tempo ciò può non essere ulteriormente accettato senza sofferenza, perché tale limite riduce lo spazio del proprio Io egocentrico e individualista. L’altro sembra che riduca il proprio spazio vitale.  Ecco, per esempio, che le attenzioni di lei ai bisogni di lui (all’inizio accolte con benevolenza e soddisfazione) possono essere alla lunga vissute come ingerenze; la tendenza di lui a non essere formale e anticonformista può trasformarsi agli occhi di lei in sciatteria o superficialità. Si attua a volte un vero e proprio meccanismo di scissione in cui si percepisce l’altro, con alternanza o come “tutto buono”, o come “del tutto inadeguato”; non si è in grado, cioè, di integrare le due parti dell’altro all’interno di una buona relazione… si resta incapaci di passare da un pensiero “aut…aut”, a uno fondamentalmente integrante, esprimente “et…et”. Manca la funzione sintetica dell’Io che riesca a contemplare entrambi gli stati emotivi.

Il parametro dell’amore non può e non deve rimanere cristallizzato al mood emotivo tipico dell’innamoramento (sentire le farfalle nello stomaco quando si incontra il partner, l’idea platonica dell’altro che rappresenta la dolce metà, l’anima gemella finalmente ritrovata), ma deve essere centrato sulla relazione, sull’incontro continuo e per certi versi sempre nuovo con l’altro, distinto e spesso diverso da sé. Al centro non deve primeggiare il proprio Io, ma la relazione, che implica “un noi” da curare e rinnovare continuamente; non una tantum. Così come una pianta non la si cura solo quando capita, non la si pone a caso in una stanza dove c’è poca o troppa luce diretta, così la relazione necessita di un’attenzione e un impegno costante rivolto a chi ci sta accanto, ai suoi bisogni. Una cura dell’altro il quale, conoscendolo intimamente, esprime l’alterità. L’alterità può essere vissuta come ricchezza o come perdita della propria individualità. Scoprire l’altro diverso, a volte può far soffrire, perché fondamentalmente il nostro ego ha bisogno di uno spazio infinito; l’altro in questo senso rappresenta il limite. Ma, come già espresso in altri scritti, il limite è “fontale”, cioè rappresenta il presupposto essenziale da cui partire per entrare in contatto con l’altro. Ecco che allora può insorgere il conflitto, la lotta per difendere il proprio ego: Chi ha ragione? Chi ha il potere di dire l’ultima parola fra noi due?

Se i due ancora non convivono queste divergenze possono essere abbastanza facilmente appianate, ma nella convivenza quotidiana esse a volte stridono e creano divisione. Tanti possono essere gli argomenti: la gestione del denaro, la pulizia della casa, le vacanze, e soprattutto l’educazione dei figli.

Nella maggioranza dei casi oggi uomini e donne lavorano entrambi, la donna frequentemente non dipende più completamente dall’uomo, svolgono entrambi mansioni domestiche e di accudimento dei figli. Questo comporta maggior impegno, fatica, stress, mentre diminuisce la capacità oggettiva di fermarsi ad ascoltarsi. Attualmente è indubbiamente più complesso e faticoso restare in coppia, in buona relazione rispetto al passato, in cui i ruoli erano ben definiti e la donna manteneva tacitamente un ruolo di dipendenza dall’uomo. Adesso non è più così e per questo motivo noi psicologi, attraverso il lavoro con le coppie, verifichiamo che le separazioni sono in crescente aumento. Quando una giovane coppia decide di intraprendere un percorso di analisi insieme, la prima cosa che accade è che entrambi si accusino a vicenda cercando di convincere l’analista che la ragione sta dalla parte di uno piuttosto che dell’altro. Smontare questo castello di pregiudizi e convinzioni profonde non è semplice, ma anche essenziale. Infatti se lo specialista ascolta entrambi, probabilmente ad entrambi riconosce una sua peculiare verità…ma non è questo il punto. Entrambi, per la loro storia e il loro vissuto personale hanno molte buone ragioni per difendere il loro punto di vista: si tratta di un io e di un tu, divisi, contrapposti. Per creare il noi di coppia bisogna ricercare l’incontro fra lui e lei. Ciò implica uscire da se stessi e andare incontro all’altro, reciprocamente. Quando ciò accade è, ogni volta, una conquista che stimola la coppia ad andare oltre consolidando un noi solido e credibile.

Il conflitto va interpretato ed elaborato all’interno delle profonde differenze fra il maschile e il femminile e non come una lotta per detenere il potere e l’assoggettamento dell’altro. Ciò significa che ognuno dei due deve contribuire a mantenere e valorizzare l’autorevolezza e il rispetto dell’altro tenendo conto delle differenze intrinseche dei due sessi: da un punto di vista ormonale, fisiologico, emotivo, culturale. La famosa Lettera di San Paolo agli Efesini, in cui l’apostolo invita gli uomini ad amare le proprie mogli e le mogli a rimanere sottomesse ai mariti può rappresentare una metafora del principio di unità e distinzione insieme fra il maschile e il femminile che non deve creare contrapposizione, ma complementarietà.