Per comprendere l’importanza e il significato profondo dell’amore fra un uomo e una donna, di un legame solido e indissolubile che si può creare fra i due, bisogna partire da molto lontano, riferirsi alla fonte, alle radici della vita, al dove, al come e al perché scaturisce la vera essenza dell’essere umano.
La verità dell’uomo non si ritrova solo nel suo presente, in ciò che fa, desidera, ma soprattutto nel progetto del futuro verso cui egli si orienta. Ciò deve avvenire con costanza e tenacia, nonostante i fallimenti e le cadute. E’ un orientamento da ricercare ogni giorno e che comunque deve guidare e indicare il senso del proprio agire. E’ un compito che ognuno di noi ha verso se stesso e verso gli altri che incontriamo sul nostro cammino. E’ un vero lavoro, molto impegnativo, che porta alla rivelazione di ciò che un essere umano profondamente tende a essere. E’ molto facile perdersi se ci si ferma, confondendo l’obiettivo da raggiungere, cioè la realizzazione di sé, con tutti i condizionamenti esterni come l’esaudire il bisogno di possesso di denaro, successo, potere. Vivendo secondo il soddisfacimento di un bisogno materiale, qualunque esso sia, nell’ottica di avere o di possedere egli si discosta dal desiderio di essere se stesso. Non riflettiamo mai abbastanza sulla differenza fra bisogno e desiderio. Ciò che si desidera è qualcosa che non ci appartiene fino in fondo perché l’uomo si definisce non nel presente, ma in cammino verso il futuro. Il desiderio di essere si sviluppa vivendo, in movimento, il bisogno di avere è invece statico. Io desidero ciò che è altro da me e questo mi porta a “muovermi interiormente” in continuo divenire.
Ecco che, uscendo da se stessi, si scopre l’altro che ci fa presente l’alterità, che ci stana dai nostri bisogni di gratificazione immediata e di appagamento. Si affaccia in tal senso il problema fondamentale, quello dell’accettazione dell’alterità; il totalmente altro, il diverso. Il primo passo verso l’alterità nella vita di ognuno di noi è rappresentato dalla relazione. In primis ciò accade nel rapporto madre figlio, quando il piccolo scopre con disperazione che il seno che lo nutre non fa parte del suo corpo, ma è altro da sé, che talvolta può anche fare attendere il suo bisogno di nutrimento…per qualche minuto. Successivamente il bambino scopre la differenza sessuale; egli intuisce gradualmente che può capire se stesso alla luce dell’altro; la bambina comincia a capire se stessa, come femmina, donna, alla luce dell’altro, maschio.
Se io, donna, non guardo me stessa a partire dal mio corpo e alla luce di quello dell’uomo, maschio, del suo essere persona, formata anche da questa differenza sessuale, (visto che si nasce esseri sessuati) io non riesco a capire né me stessa, né il mio corpo; non intuisco il suo significato oltre che il suo valore. E viceversa l’uomo deve guardare se stesso alla luce della femmina, della donna se vuole comprendere se stesso e il senso del suo essere. Nasce da ciò uno stupore per l’incontro, un rispetto per l’alterità che l’altro evoca e anche un desiderio di essere insieme. Essere insieme non significa fare cose insieme ma essere orientati verso un progetto futuro condiviso. Quando ci si limita a fare qualcosa insieme si riesce solo a possedere qualcosa insieme. Un’unione basata sull’avere, e sul possesso dell’altro crea complicità, una cooperativa efficiente e solidale, ma in cui i due membri potrebbero essere scambiati con altri. In quest’ottica i due non generano figli, ma li producono in base al bisogno psicologico di avere un figlio, che è inteso come un diritto che nasce da un bisogno e non da un dono.
Quando un individuo possiede qualcosa vivendo nell’ottica del possedere trasmette questa brama anche al figlio il quale, pur avendo tutto (materialmente), vive nel continuo pericolo di essere rifiutato in una concezione del do ut des (ti amo se studi, se sei bravo, se sei un vincente) e non nell’ottica della gratuità. In tal senso siamo molto vicini alla logica dell’eutanasia. Quando si arriva a pensare – costi quel che costi, io ho diritto ad avere un figlio – lo voglio, siamo nella logica dell’eutanasia, dell’aborto, della logica della convenienza, lontani dal concetto di gratuità e di dono che sono caratteristici dell’amore. Si rischia di seguire la logica della macchina produttiva, il cui principio è: “minimo sforzo, massimo rendimento”. In tal senso il minimo sforzo sarà rappresentato dall’inseminazione artificiale.
Nel matrimonio quando i due – io e te – si uniscono, gradualmente nasce una coscienza comune, così unita che è difficile distinguere dove finisce la coscienza di uno e dove subentra quella dell’altro, perché esiste un’unità profonda nell’ “essere”. Ontologicamente non si parla di una coscienza unica, ma dal punto di vista della “comunione delle persone” (communio personarum) esiste un’unione così profonda che queste due coscienze si manifestano come una sola coscienza. Nella misura in cui l’unione matrimoniale diventa sempre più se stessa le regole etiche non sono più necessarie. Si diventa più liberi dall’etica, non abbiamo più tanto bisogno delle regole per sapere come comportarci, perché è l’amore che ci rende “uno” e quindi ciascuno ama se stesso e allora può amare anche l’altro. Nella realtà l’etica è necessaria perché protegge e contiene il nostro agire spesso incoerente e irrequieto. L’etica è necessaria perché si vive in modo isolato, nella solitudine, non ci si rivela pienamente all’altro, non avviene un dono reciproco completo. Non essendo capaci di rivelarci l’uno all’altro abbiamo bisogno di stampelle per rimanere in piedi.
Nella filosofia emergono tre categorie:
- la categoria dell’essere,”esse”,
- la categoria dell’agire, “agere”,
- la categoria del fare, “facere”.
Della prima abbiamo già detto qualcosa.
L’agire, “agere”, significa conoscere, amare, è un’azione il cui frutto rimane nel soggetto che la attua, come “actio immanens”, cioè che rimane dentro il soggetto e in parte lo trasforma.
La terza categoria è il fare, “facere”, è un produrre qualcosa “actio transiens”, cioè passa dal soggetto verso l’esterno. Implica una violenza esercitata dal bisogno stesso sul soggetto che si rende passivo, schiavo dello stesso bisogno. Il facere dovrebbe essere contemplato e contenuto nell’agere, nella conoscenza e nell’amore. Il lavoro diventa alienante se il fare non è mosso dall’agire, cioè dall’amore.
Un’unione sana si basa sull’essere e dall’essere emana la conoscenza e l’amore quindi investe anche l’agire. “Agere sequitur esse” (l’azione segue l’essere!). Se il rapporto è basato soprattutto sul facere i due sono complici nel fare, nel realizzare interessi comuni, nel soddisfare i loro bisogni.
L’amore implica libertà; la nostra libertà è legata all’essere e all’agire, cioè alla conoscenza e all’amore mentre, se solo si opera per soddisfare un bisogno, non si può essere liberi. Ciò che noi chiamiamo liberalismo è un’apparenza, una libertà vuota, non riempita della verità e di bene. Questo è un concetto su cui ha basato la sua filosofia J.P.Sartre, concetto puro della libertà come negazione dei legami: poiché non c’è il vero, non c’è neppure il bene, per cui io non sono legato al vero o al bene.
Nella verità essere libero significa essere legato alla verità e al bene. Invece per Sartre libertà è negazione dei legami (non c’è il vero, non c’è il bene), la libertà diventa solo un “liberum arbitrium” al servizio della soddisfazione dei bisogni. La libertà di Sartre proviene dalla premessa, da lui stesso espressa, che Dio non c’è, quindi se Dio non c’è (detto da un personaggio del romanzo “I fratelli Karamazov” di Dostoèvskij) tutto è lecito. Se Dio non c’è, se Dio non ha pensato creativamente il mondo, ogni essere non è pensato, non è conosciuto e non è conoscibile…ma se Dio ha pensato il mondo, in ogni essere creato c’è il dono della verità da scoprire e diventa vitale adeguarsi a questa verità. Quindi non posso dire che tutto è lecito, posso dire che sono libero se posso adeguarmi alla verità di ciò che mi circonda: per esempio trattare una rosa come tale e non come un carciofo! Se posso trattare l’altro come voglio, se tutto è lecito, ciò significa che io costruisco l’altro e non lo scopro ed egli non si rivela…manca lo stupore dell’incontro.
Avvicinarsi all’altro consapevoli che egli è altro da noi e comunque, nel pieno rispetto di ciò, tendere a un’unione con lui, ciò fa crescere l’amore. Si consolida in tal modo un ‘unione basata su uno sguardo comune sul senso e il significato profondo dell’essere al mondo. Orizzonte lontano, forse mai raggiungibile, ma comunque presente e limpido davanti a coloro che volgono lo sguardo verso di esso. Così orientati i due possono percorrere insieme un cammino a volte impervio e scivoloso, ma retto da una volontà di bene per se stessi e per i loro cari.