Parerga e Paralipomena (1851), Arthur Schopenhauer
“In una fredda giornata d’inverno alcuni porcospini si strinsero vicini per proteggersi col calore reciproco dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche.
Il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo, l’uno dagli altri.
Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno, di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore.
Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.
La parabola dei porcospini del filosofo Arthur Schopenhauer descrive efficacemente che cosa frequentemente può accadere in gran parte delle relazioni affettive, soprattutto all’interno di un rapporto di un’amicizia stabile e ancora di più nella relazione d’amore fra un uomo e una donna.
Ognuno di noi è affascinato dal desiderio di un rapporto intimo autentico, profondo, indissolubile, di protezione reciproca e di sostegno incondizionato verso e dalla persona amata ma, dopo il primo periodo euforico di forte intensità e tensione verso l’altro, può subentrare, più o meno persistentemente, il bisogno di allontanarsi e di proteggere la propria individualità per timore che l’altro, così “tanto/troppo” vicino e meravigliosamente/intollerabilmente intimo, possa togliere autonomia e spazio interiore oltre che fisico alla propria persona.
La forte sensazione di piacevole calore umano derivante da una vicinanza emotiva viva e pulsante viene gradualmente offuscata da un’istanza interiore altrettanto potente che spinge verso il bisogno di creare una barriera emotiva, se non addirittura fisica, fra noi e l’altro, anche se l’altro è proprio la persona amata. (Odi et amo: Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato: Catullo).
Estremizzando questi due bisogni e considerandoli come poli opposti (condizione non reale nei complessi processi affettivi), si passa teoricamente dal bisogno di un rapporto simbiotico (in cui i due vivono come “due anime in un nocciolo”, non manifestando mai, non essendone consapevoli, l’alterità che l’uno rappresenta per l’altro) al bisogno di estrema distanza, di solitudine, di non coinvolgimento emotivo, in concreto, di una situazione emotiva di stallo emotivo, simile a una condizione di apparente anaffettività.
Ecco che si può improvvisamente pensare:
“Ma come può essersi allontanato senza una spiegazione logica, senza un perché”.
Nella realtà affettiva delle coppie questa dicotomia si presenta raramente in termini così rigidi; le relazioni sono complesse, a volte ambivalenti e gli stati d’animo estremamente sfumati, nella maggior parte dei casi manca però un’elaborazione e la persona stessa che mette in atto questo comportamento non comprende che cosa stia accadendo e agisce senza la consapevolezza delle dinamiche emotive che a volte governano il suo comportamento. Episodi apparentemente banali come dimenticarsi dell’ora dell’appuntamento con il partner, trascuratezze quotidiane, bisticci puerili sul menàge quotidiano possono essere indice di un’irrequietezza nata dal bisogno inespresso a sé e all’altro di prendere le distanze emotive dal partner, pur amandolo intensamente. Tendere a quell’unità di coppia che fa crescere l’amore presuppone la capacità di essere consapevoli di non essere uguali. Amare non significa essere o tendere a diventare uguali, ma consiste nel rispettare l’altro in quanto, anche, alterità, un non me da valorizzare e aiutare ad esprimersi pienamente. Questa consapevolezza, affinché sia veramente appagante deve essere realizzata reciprocamente.
Non essere uguali implica anche avere interessi, sensibilità, punti di vista sul mondo circostante a volte estremamente diversi. Non per questo la relazione non può crescere o necessariamente attraversare una fase di crisi profonda. E’ possibile amarsi se si accoglie l’altro senza la pretesa di renderlo simile a sé, ma riuscendo ad integrare questi aspetti del suo essere vivendoli come una ricchezza, un dono. E’ necessario trovare la giusta distanza fra l’eccessiva vicinanza, che evoca possesso, fusione, perdita di identità e l’estrema distanza che crea invece indifferenza, vuoto esistenziale, aridità affettiva, sofferenza.
Come rimanere in parte individui all’interno della relazione affettiva, preservando e valorizzando il “noi” di coppia?
Esiste un modo per proteggere il proprio “Io” e favorire anche la crescita del “Noi” relazionale?
Su questo tipo di problematica molte coppie vanno in crisi se non riescono a trovare un punto di incontro, ma piuttosto cercando di trascinare ostinatamente l’altro a sé. Nella nostra cultura, che sempre più tende a privilegiare l’individuo rispetto alla persona in relazione, l’efficienza e la produttività rispetto all’amore per l’altro e al dono di sé, diventa molto complesso confrontarsi per trovare una via d’uscita che valorizzi il rapporto.
Se io parto dalla pretesa verso l’altro e dal presupposto che egli mi debba rendere felice, che mi faccia stare bene, appare chiaro che, nel momento in cui si prende atto delle diversità che il partner prima o dopo mostra (gli aculei dei porcospini), io senta il bisogno di contrastarlo o semplicemente di allontanarmi da lui. E’ un modello di relazione ego-centrata, in cui io mi identifico come il centro del mio universo, il riferimento assoluto e l’altro può solo ruotarmi intorno, come fosse un satellite ed io il pianeta.
Ma questo non esprime l’essenza dell’amore ma dipendenza, possesso, dominio sull’altro.
Voler bene significa volere il bene dell’altro e, a vicenda, cooperare per “educere” tutto il bello, e le risorse che l’altro ha la possibilità di esprimere. Se questo avviene, e può avvenire solo grazie alla volontà di far crescere la relazione abbattendo il muro di egoismo che connota il nostro essere, allora accade il miracolo, la trasformazione che solo l’amore può compiere: accogliersi nella propria essenza, accettando il bisogno di distanza e di vicinanza insieme che ogni relazione contempla. Così il fatto che lui abbia amici diversi, o interessi diversi dai nostri non sarà visto come deleterio e dannoso per la crescita del rapporto, ma un’opportunità per vivere, indirettamente, grazie all’altro, mantenendo i propri interessi, un’ulteriore esperienza di vita. Non è essenziale essere sempre e comunque insieme, ma condividere insieme lo stesso progetto di vita: la crescita dell’amore, cercando reciprocamente il bene dell’altro attraverso il dono di sé.
Per realizzare questo progetto di vita, imparare ad amare, (perché amare è un’arte, come ben sottolinea E. Fromm) a volte non basta l’intera esistenza, ma è la tensione verso questo orizzonte che riempie di senso il proprio essere al mondo. E’ un allenamento quotidiano sostenibile grazie alla volontà di aderire a questo progetto.
Far crescere l’amore, per concludere, implica l’assunzione della responsabilità che, all’interno di una buona relazione, entrambi è necessario che impieghino per il bene comune