Che cosa può impedire ad una coppia, conviventi o sposi, di vivere la relazione appagante e libera da condizionamenti? Nella maggior parte dei casi dipende dal riconoscere e nello stesso tempo non accettare l’altro diverso da sé; emergono in tal caso dinamiche emotive a volte apparentemente inconciliabili con i propri bisogni.
L’accettazione dell’altro diverso da sé presuppone molta fatica mentale e spesso sofferenza: si tratta di mettere da una parte il proprio ego, il proprio egocentrismo per andare verso l’altro.
Nella pratica quotidiana della relazione come si reagisce di fronte a questa difficoltà?
- Rinunciando ad avere fiducia nel rapporto, ci si accontenta di “quel poco” che la relazione offre, per mantenere il buon per la pace, non esprimendo più il proprio punto di vista, i desideri, i bisogni: “va bene, facciamo come vuoi tu”!
- Tentativo di “comprendere” (possedere) l’altro, di inglobarlo nel proprio modo di vivere il rapporto: “Devi renderti conto che…”.
- Trasformare l’altro in una specie di statua di gesso: “Sei sempre il solito, non cambierai mai!”, trascurando i piccoli gesti in atto che l’altro sta realizzando con fatica.
Questi meccanismi di difesa rischiano di allontanare il partner favorendo l’insorgere di un processo disfunzionale che spinge l’altro a soddisfare il suo bisogno di comprensione all’esterno della relazione.
E’ invece necessario, attraverso un percorso introspettivo di consapevolezza di sé e dei propri limiti, andare incontro all’altro, vivendo le sue diversità come risorsa, nell’integrazione di due libertà che si sfiorano senza scontrarsi, senza ferirsi.
Così osserva Gibran:
“…e siate uniti, ma non troppo vicini. Le colonne del tempio si ergono distanti, e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro”.
La relazione affettiva fra i due è sana nella misura in cui essi si sentono responsabili della libertà propria e di quella dell’altro, favorendo entrambe.
L’altro è essenziale, prezioso perché grazie alla relazione con lui è possibile entrare in contatto profondo con la propria essenza caratterizzata dal bisogno di amore da donare e da ricevere, ma anche dai timori, dalla fondamentale incapacità d’amare, dall’egoismo.
Ecco quindi che l’altro diventa lo strumento insostituibile verso l’autoconoscenza. E’ fisiologico in una relazione affettiva stabile assistere ad un’alternanza di calma equilibrata e di inquietudine turbolenta; di anelito sincero al dono di sé e viceversa di bisogno di possesso; di nutrire la sensazione della pienezza del rapporto, ma anche di desiderio di nuovi orizzonti da raggiungere. Il filo conduttore deve rimanere la volontà di restare fedeli, davanti alle sfide della vita, al progetto unitivo scelto.
Scrive Fromm, nell’arte di amare:
“Amare è servire. Quando mi pongo di fronte a una persona posso considerarla da due punti di vista: Posso tenere conto della sua realtà, di ciò che è. Ma posso anche fare attenzione prevalentemente a ciò che può diventare: in ogni persona esiste un Io profondo che chiede urgentemente di essere realizzato. Amare una persona significa mettersi al servizio di questo Io per aiutarlo a realizzarsi”.
E’ un progetto ambizioso e l’altro ci fa presente tutti i nostri limiti.
Paul Ricoeur osserva che l’altro, non essendo assimilabile demarca i confini e il limite dell’espansione del proprio Io fino al punto di diventare il nemico da cui difendersi in quanto egli può minare il proprio bisogno di libertà.
Fromm in psicanalisi dell’amore sottolinea che non esiste una libertà in assoluto, ma atti attraverso i quali operiamo scelte che a loro volta implicano rinuncia a qualcos’altro.
L’idea che identifica la libertà con l’assenza assoluta di limiti deriva da una visione narcisistica e onnipotente dell’uomo. Risulta impossibile non scegliere; ogni apparente astensione da una scelta si rivela comunque una scelta. Ogni nostra decisione in un senso o nell’altro, ogni silenzio, ogni immobilismo è comunque una scelta e comunica il proprio punto di vista.
Il principio di libertà in amore è legato al principio di responsabilità verso sé e verso l’altro, infatti le proprie scelte ricadono comunque sugli altri. Incamminarsi verso un processo di adultità significa acquisire la capacità di contenere gli impulsi istintivi senza reprimerli, ma incanalandoli verso mete di intelligenza emotiva (Daniel Goleman).
Freud già nell’800 aveva descritto i processi di sublimazione pulsionale attraverso cui le pulsioni sessuali e aggressive dovevano essere incanalate in mete socialmente accettabili. In effetti concetti come libertà, responsabilità, legame nella relazione d’amore non sono agli antipodi, ma sono sinergie essenziali per costruire un amore solido. Se questo non accade si assiste ad un’apatia del desiderio (epoca delle passioni tristi) a un’affettività frammentata (Per riaccendere rapporti affettivi stanchi è sempre più dilagante il fenomeno degli scambisti di coppia nei tanti privée delle grandi città italiane).
Impera la convinzione che la felicità sia un diritto imprescindibile (“Che colpa ne ho se non l’amo più”…Muccino, L’ultimo bacio); manca la dimensione trascendentale, il senso da perseguire.
Sempre più frequentemente si assiste all’insorgere di 3 fenomeni che minano l’espressione di una solida affettività appagante:
- Individualismo imperante, autoreferenziale la cui icona è l’Io al centro: “all around you, imagine you can”.
- Ossessione e cura pedissequa del corpo oggetto da esibire per sedurre ed esercitare potere sull’altro.
- Esaltazione esasperata della dimensione emozionale (docce emozionali), reificazione del sesso – fare sesso – come unico strumento di piacere. (Giddens, la trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne).
Ascoltando molti giovani in analisi emerge in modo preoccupante la loro insoddisfazione nei confronti delle relazioni vissute. Quello che descrivono è “un fare sesso” fine a sé stesso, o meglio, finalizzato a un godimento fisico che, comunque, non è per loro appagante. Non è raro che frequentino prostitute per sentirsi più liberi (potenti perché non messi in discussione da un partner che li conosce) e non coinvolti affettivamente. Questa libertà li rende ancora più inquieti e soli. Si percepisce una profonda solitudine fra i giovani di oggi, un’inibizione della comunicazione analogica e una comunicazione verbale scarna, stereotipata, anaffettiva. Le responsabilità di quanto sta avvenendo non sono da attribuire solo a loro all’incapacità di essere meno superficiali e maggiormente introspettivi, ma piuttosto al condizionamento nefasto di una cultura di massa penetrata nelle case attraverso i media, alla mancanza di tempo-relazione “kairos”, vissuto in famiglia, alla scuola che non sempre educa, ma a volte solo informa sommariamente. Recuperare i valori umani significativi, chiedersi il senso del proprio agire, valorizzare tutto ciò che riguarda la sfera affettiva (in famiglia, con il partner, con gli amici) può contribuire a
Essa è viva e pulsante e proprio per questo non resta staticamente ferma all’inizio dell’incontro, ma muta in base al nutrimento apportato da lui e da lei.