“For what can war, but endless war still breed?” 

(Perché la guerra che altro può generare, se non guerra senza fine?) John Milton, A Fairfax

 Ciò che accade tuttora e che è accaduto recentemente in Ucraina, Israele, Palestina ci induce a una profonda riflessione sulle motivazioni di una tale atrocità. Di fronte ai disastri e alla crescente devastazione compiuta da chi detiene il potere nei confronti di ampie fasce della popolazione inerme, soprattutto civili, fra cui molte donne e bambini, anziani disabili, ci si chiede come sia possibile che l’uomo persegua una logica così distruttiva che conduce all’annientamento sia fisico di coloro che muoiono, che morale di coloro che restano in vita: centinaia di migliaia di vittime innocenti. Vengono così calpestati i principi e i diritti fondamentali di ogni essere umano. Vacilla il diritto al rispetto della dignità della persona e della vita stessa. La vita e la morte di ogni uomo richiamano fortemente il senso del nostro essere al mondo, esprimono una sacralità davanti a cui è necessario inchinarsi e interrogarsi sul perché di ciò che accade. E questo purtroppo non avviene. I corpi senza vita di uomini, donne, bambini vengono ammassati insieme e sepolti in fosse comuni; sarà impossibile piangerli sulla loro tomba, portare un fiore, pregare sul loro cadavere, ma solo ricordarli nella memoria. Morti innocenti che le fosse comuni rendono anonimi e testimoni di un destino disumano e di crudele efferatezza. Ventenni russi combattenti per la loro patria che ha tolto loro il diritto di vivere, giovani ucraini anch’essi difensori della loro patria che, però, aderendo agli stessi principi, ha impedito loro la possibilità di esistere.

Ci si chiede in molti dove stia la ragione, l’intelligenza che dovrebbe distinguere l’uomo dall’animale, che comunque non è mai capace di tale efferatezza per motivazioni che sfuggono a un pensiero evoluto, adulto.

Il primo vagito del neonato che si affaccia alla vita esprime il desiderio e la volontà di andare incontro pienamente e con gioia verso il suo avvenire, senza essere costretto da imposizioni politiche esterne che lo obbligano a ridursi a una macchina da guerra. Qual è il senso di tale agire? A che cosa può portare questa escalation militare, la corsa agli armamenti nucleari sempre più sofisticati? Tutto ciò è stato concepito da governi potenti, dai militari detentori del potere politico a scapito dei civili che soccombono a una logica estranea, matrigna, che certo non opera per il bene comune. Città rase al suolo, macerie che ricoprono corpi inermi ancora vivi, feriti, spesso morti; abitazioni, scuole, ospedali distrutti: davanti a tale desolazione non è possibile trovare una giustificazione. 

Sarebbe piuttosto auspicabile affidarsi a soluzioni diplomatiche attraverso cui la politica possa adempiere alle sue fondamentali funzioni: trovare un punto di incontro fra posizioni distanti.

Ciò non accade e si preferisce giocare al rialzo: muro contro muro, fino a un inasprimento che sembra non preveda in tempi ragionevoli né cedimenti, né punti di ritorno.

Sulle dinamiche psicologiche che inducono i capi di stato a promuovere la guerra come unica alternativa alla risoluzione dei conflitti, così si legge nel dizionario di psicologia curato da Umberto Galimberti vol. 2, pag.266:

“Dal punto di vista psicoanalitico S. Freud interpreta la guerra come una proiezione all’esterno della pulsione di morte per poterla aggredire, evitando così la condizione di incubo e di angoscia connessa al suo insorgere nella coscienza individuale e collettiva. Da questo punto di vista la guerra non sarebbe un’esplosione dell’irrazionale, ma un meccanismo di difesa che tenta di controllare l’angoscia dell’autodistruzione, proiettando la pulsione di morte all’esterno e razionalizzandola come aggressione al nemico su cui è stata trasferita”.

Anche F. Fornari, in Psicoanalisi della guerra, a distanza di diverse decine di anni, afferma un punto di vista simile:

“Personalmente ritengo che la guerra rappresenti un’istituzione sociale volta a curare angosce paranoicali e depressive presenti in ogni uomo…in caso contrario la società rischierebbe di lasciare gli uomini senza difesa di fronte all’emergenza del terrificante come puro nemico interno”.

Eros e Thanatos, istinto di vita e di morte (intesa quest’ultima come potenzialità distruttiva). Jung parla di ombra come di una parte inconscia della personalità di cui non si è coscienti, ma che opera e agisce se non è riconosciuta e integrata:

“Purtroppo non c’è dubbio che l’uomo sia, nel complesso, meno buono di quanto si immagina o vuole essere. Ognuno porta un’ombra, e meno è incarnata nella vita cosciente dell’individuo e più è nera e densa”.

Sottolineare la potenzialità distruttiva di ogni essere umano è un significativo contributo che la psicologia offre perché permette di elaborarne le dinamiche e di lavorare per un’integrazione di questa parte della personalità, attraverso processi di sublimazione (S.Freud), e incanalandola in “mete di intelligenza emotiva”. (D. Goleman, l’Intelligenza emotiva).

Riconoscere la propria zona di ombra, accoglierla e incanalarla verso mete costruttive e volte al bene comune ci proietta in una più ampia dimensione socioculturale e anche pedagogica, di presa di coscienza e di apprendimento a partire dai primi anni di vita. Nella misura in cui ci si rende consapevoli (è il primo passo necessario) della forza distruttiva che è insita in ogni persona, entrando in dialogo con questa parte, si può intervenire integrando questo aspetto alle altre componenti della propria personalità, favorendo, come ho già scritto, una visione del problema positiva e adulta. Gli strumenti esistono, vanno usati con costanza. Il primo luogo in cui prendere coscienza di ciò è la famiglia. I genitori hanno il compito di educare i figli all’amore, alla tolleranza, al riconoscimento, alla gestione e quindi al controllo delle pulsioni aggressive sottolineando l’effetto che esse producono e il senso di perdita e di fallimento che portano in sé nel caso in cui si smarrisca il senso e il controllo del proprio agire e del proprio pensare. Se un bambino picchia un altro bambino perché gli sembra antipatico, o perché non vuole giocare con lui o magari perché gli è stato rubato un gioco, più che punirlo è necessario che egli si renda consapevole di ciò che il suo agire produce, se esiste una “convenienza emotiva” nell’interagire in questo modo. Una solida consapevolezza di ciò presuppone un processo complesso di integrazione fra le varie parti della personalità, uscendo dalla dualità del buono-cattivo, bene-male, bello-brutto, giusto-sbagliato, per entrare in una dimensione più ampia, di mediazione fra le varie istanze interiori del sé; una dimensione capace di individuare la via che orienta verso l’equilibrio psichico del soggetto.

Erich Fromm nell’ “Anatomia della distruttività umana” mette in secondo piano il concetto dell’istinto distruttivo umano per interpretare la guerra come una forma di “aggressione strumentale” messa in atto da una élite al potere per interessi specifici:

“Il caso più importante di aggressione strumentale è la guerra. Ormai è diventato di moda credere che la guerra sia scatenata dal potere dell’istinto distruttivo umano. Questa è stata la spiegazione fornita dagli istintivisti e dagli psicoanalisti…la tesi dell’innata distruttività umana quale causa primaria della guerra è semplicemente assurda…le grandi guerre dei tempi moderni e quasi tutte quelle fra gli stati dell’antichità non furono provocate dall’aggressione arginata, ma dall’aggressione strumentale delle élite militari e politiche”.

Le motivazioni che portano allo scoppio di un conflitto fra nazioni sono indubbiamente complesse ed è impossibile attribuire a tale tragedia una sola causa, o una principale. Sicuramente davanti allo sfacelo a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi, come nella storia passata, ci viene spontaneo riflettere non riducendo la questione alla mera ricerca di chi abbia ragione o torto. In paesi che si definiscono democratici il primo principio da tutelare è quello del benessere e dell’equilibrio della popolazione tutta, soprattutto dei civili innocenti, per cui è prioritario lo sforzo di trovare soluzioni diplomatiche, affinché la politica svolga finalmente il suo compito, che consiste nel trovare il modo di conciliare le parti in conflitto attraverso una mediazione seria, condivisa e giusta.

 

 

“Quelli che stanno in alto

Si sono riuniti in una stanza

Uomo della strada

Lascia ogni speranza

I governi

Firmano patti di non aggressione

Uomo qualsiasi,

firma il tuo testamento  

Bertold Brecht