LA PORTA DELLA FELICITA’
SI APRE SOLO VERSO L’ESTERNO
CHI TENTA DI FORZARLA
IN SENSO CONTRARIO
FINISCE PER CHIUDERLA
ANCOR PIU’
S.Kierkegaard
La danza, a qualsiasi livello venga eseguita, produce benessere psicofisico. Ciò si realizza perché il ballare comporta un movimento aerobico che stimola le endorfine, fra gli altri soprattutto gli ormoni serotonina e dopamina che fungono da antidepressivi naturali, attuando un reale miglioramento dell’umore e della fiducia in sé stessi. La danza è sempre accompagnata dalla musica e il soggetto è portato a entrare in sintonia con il ritmo dei suoni e con la melodia in armonia e distensione; ogni forma di rigidità emotiva, che si accompagna necessariamente anche a quella muscolare, tende a scomparire per lasciare il posto a un sodalizio fra corpo, mente, emozioni in un insieme inscindibile.
“…l’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che non con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume, in ogni gesto, l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale” (A.Lowen, Il linguaggio del corpo).
Il nostro corpo si muove nello spazio grazie a una serie di organi e vie nervose. Il corpo dispone di molti recettori sensibili ai cambiamenti della postura del corpo in movimento e alla sua distensione muscolare. Il labirinto vestibolare è sicuramente un complesso sensore di movimento collegato al sistema nervoso centrale che proprio dall’apparato vestibolare riceve informazioni utili circa la posizione e la postura adeguata per l’equilibrio.
Il riconoscimento della posizione e del movimento del proprio corpo nello spazio circostante anche ad occhi chiusi dipende dalla propriocezione. (cinestesia). Percepire e riconoscere la posizione del corpo nello spazio insieme alla consapevolezza della relativa contrazione o distensione dei muscoli necessaria per il movimento armonico dipendono dunque da uno stretto contatto fra il corpo e il sistema nervoso corrispondente. Il controllo nervoso centrale agisce sui riflessi posturali che, a loro volta, predispongono all’equilibrio. Per muoversi in equilibrio in una soddisfacente percezione spazio temporale è necessario acquisire le informazioni percettive che ci giungono grazie a una complessa rappresentazione mentale dei dati percettivi di spazio e tempo. Coordinare armoniosamente i movimenti del corpo e orientarsi nello spazio è quindi una capacità complessa che implica più funzioni: una funzione cognitiva, emotiva, relazionale e strettamente psicomotoria. In tal senso la danza, fin dalla tenera età dell’infanzia è capace di attivare la consapevolezza di uno spazio reale e personale entro cui esprimersi emotivamente: questo avviene attraverso e grazie al proprio corpo.
“Il movimento è il centro della vita del bambino: Lo nutre dall’inizio, lo fa diventare ricco ed esuberante. Quando un bambino si muove o danza, sta portando visibilità alla sua personalità. Più ricchi sono i movimenti, più ricco sarà il suo apprendimento”. (Fraser D.L., Danceplay: Creative movement for very young children, 2000).
Lo spazio in tal senso viene vissuto come espansione di sé che permette di realizzare pienamente una possibilità di allargamento dei propri confini emotivi. Uno spazio amico, reale, accogliente che favorisce l’espressione del proprio Io; si tratta di un Io mentale, emotivo, corporeo. Ciò favorisce il movimento in uno spazio vissuto come strumento espressivo: i confini fra il corpo e lo spazio che lo circondano diventano armonia, creatività, vita, promuovendo la definizione del proprio Io e rafforzandola. Pensiamo a come invece lo spazio possa essere vissuto, in presenza di disagi psicoemotivi, come minaccioso e nemico, un vuoto incolmabile e impenetrabile da cui difendersi. Basti pensare in tal senso alle sindromi di agorafobia, claustrofobia. In presenza di questi tipi di disturbo si crea una rigida dicotomia fra l’individuo e lo spazio circostante. Si genera un meccanismo difensivo di evitamento o di ansia, di attacchi di panico. L’io per proteggersi si ritira in sé e si riduce fino a identificarsi con il sintomo stesso. Se invece, in una condizione di equilibrio psicofisico, lo spazio è vissuto come potenzialità espressiva di sé, si crea la condizione creativa del pittore davanti alla tela vuota: il bianco della tela lo invita a riempirlo di sé. Così lo scrittore davanti al foglio bianco: esso può essere temuto come minaccia incombente e vissuto con senso di impotenza oppure essere stimolati a riempirlo di espressioni di sé. Così il corpo in movimento in armonia con la sua parte mentale e più strettamente emotiva non teme lo spazio, ma vive in armonia con esso.
Soprattutto nella danza, grazie anche alla musica, il soggetto è aiutato enormemente a prendere coscienza dello stretto rapporto fra sé e l’esterno ed è stimolato a lasciarsi andare al ritmo dei suoni che ascolta mentre si muove; il corpo asseconda ciò, favorendo l’integrazione fisica, emotiva e relazionale, vivendo lo spazio in una dimensione plastica. Gran parte della psicologia si è sempre orientata a sottolineare la necessità di una stretta unione fra corpo e mente… “Io sono il mio corpo” sostiene giustamente Gabriel Marcel, sottolineando da una parte l’appartenenza del corpo alla persona (mio corpo), e dall’altra lo stretto inscindibile legame tra i due (io sono il mio corpo).
Esiste una stretta connessione fra la muscolatura, la postura e le emozioni. Tutto ciò che avvertiamo emotivamente viene trasmesso al nostro corpo condizionandolo in base alle poche o molte rigidità psichiche difensive.
Se siamo in ansia le spalle tendono ad alzarsi, come per sorreggerne i pesi emotivi di tutti i problemi; se siamo depressi tendiamo a incurvarci e a chiudere i pettorali nel tentativo inconscio di chiudersi all’esterno. Se siamo arrabbiati e irosi o comunque in tensione, tendiamo a stringere le mascelle, a digrignare. Sono campanelli d’allarme che meritano una presa di coscienza del disagio avvertito. Per questo motivo tecniche di rilassamento muscolare come il rilassamento progressivo, il training autogeno, lo stesso Thai chi, sono strumenti estremamente utili per riavvicinarsi al contatto con il corpo e con il proprio mondo emotivo. Sono forme di incontro profondo con il proprio mondo interiore, un’eccellente forma di meditazione. Tutto ciò si compie, ripeto, grazie all’ascolto del corpo che, in alcuni momenti può denunciare il disagio. Purtroppo ci siamo sempre più allontanati dal legame con il nostro corpo, riducendolo a oggetto da sfruttare, o a prestazioni da esibire. Questo atteggiamento mentale produce malessere. La nostra cultura nega al corpo la possibilità di esprimersi come parte integrante della nostra persona, come corpo-persona:
“La nostra cultura nega il corpo. La medicina non vuole sapere nulla né dell’anima né dello spirito e noi continuiamo a dissociare l’educazione del corpo da questi due elementi”. (La danzaterapia, G.Bonaviri, 2023)
La danza favorisce l’espressione dell’unità corpo mente spirito, tendendo all’equilibrio armonico della persona in relazione con sé e con l’esterno.
“Rinunciare alla sovranità sul proprio corpo significa abbandonarlo alle malattie psicosomatiche… Io propongo di riunire, di raccogliere il corpo nell’unione con il sé. Per fare ciò bisogna che non sia più il corpo che sente, ma io che sento.” (Il training autogeno per la quiete psicosomatica, V.Albisetti,19
In passato ho accolto in terapia un signore di circa sessanta anni afflitto da una depressione lieve in seguito alla morte della sua consorte. Avevano trascorso insieme 40 anni della loro vita e trovandosi egli adesso solo, senza figli, si era chiuso in sé stesso, piangeva spesso, non usciva di casa, lamentandosi che la vita non aveva più senso per lui. Lo psichiatra che lo conosceva da anni per rapporti di amicizia me lo aveva inviato informandomi che il paziente era una persona molto equilibrata, intelligente e fondamentalmente socievole.
Dopo diverse sedute, in cui mi limitai ad accogliere la sua profonda e sincera sofferenza, cercando di costruire una forte alleanza terapeutica, con discrezione, quasi in punta di piedi, cercammo di analizzare e riconoscere i sensi di colpa legati al lungo rapporto di convivenza con la moglie. Il loro era stato un legame forte, fondato su valori condivisi, ma segnato da alcuni tradimenti del paziente: storie senza molta importanza, disse, che egli aveva quasi dimenticato ma che, con la morte della compagna erano riaffiorate e gli impedivano di elaborare il lutto e la perdita della sua compagna di vita. Furono necessarie diverse sedute durante le quali egli mi descrisse la sua solitudine, la chiusura verso ogni tipo di relazione. Era stato, insieme alla moglie, un uomo dinamico e sportivo, avevano amato camminare spesso nei boschi, sentendosi in sintonia con sé stessi e nell’ambiente circostante. Adesso non più: chiuso in casa trascorreva gran parte del tempo a guardare la televisione o a dormire. Il suo corpo, un tempo atletico e longilineo si era appesantito, i muscoli contratti, come se (osservava) si fossero rattrappiti. Eppure un tempo gli piaceva anche ballare e amava la musica di ogni genere. Raccontandomi questo vissuto i suoi occhi nostalgici si persero sulle pareti dello studio, come a rincorrere un sogno lontano, una danza perduta. Colsi l’attimo favorevole e delicatamente avanzai l’ipotesi che forse sarebbe stato ancora possibile vivere quelle innocenti emozioni. Il suo corpo ne aveva bisogno e diritto e la moglie ne sarebbe stata lieta. Non fu facile, ma ritornando più volte sulla questione, gradualmente, egli si rese consapevole che tutto ciò che di bello avevano vissuto insieme era più forte dei sentimenti di colpa per ciò che, quasi inevitabilmente, in una lunga storia d’amore può anche accadere. Le sue infedeltà non avevano scalfito la bellezza della loro storia. Lentamente il paziente tornò alla vita, al desiderio di vivere nel corpo e nella mente e lo strumento che scelse fu proprio la danza, perché essa presupponeva un dolce lasciarsi andare al suo corpo - guida. Altre attività fisiche avrebbero presupposto, secondo lui, un acting out più aggressivo di cui non era capace. Tornò nelle sale da ballo frequentate con la moglie e senza alcuna velleità di trovare una compagna nuova, si permise semplicemente di ballare, di muoversi a tempo di musica corpo e mente insieme.
Fu come, mi disse, pattinare sul ghiaccio in una splendida giornata di sole invernale.