Le aspettative e le pretese nei confronti della persona amata nascono spesso dall’esigenza di porsi al centro della relazione. Prevale l’egocentrismo che impone il proprio punto di vista come verità assoluta davanti alla quale il partner può solo arrendersi. Ci si aspetta che l’altro faccia o dica qualcosa in base al proprio, personale metro di giudizio o di valutazione che è ritenuto in assoluto l’unico “condivisibile”.

 Dopo un po’ di tempo vissuto insieme può accadere di usare una lente deformante nel valutare i sacrifici fatti per il benessere della relazione: i nostri sembrano di gran lunga superiori a quelli del compagno.

Si concepisce la convivenza alla stregua di una cooperativa in cui i conti devono tornare! Vale soltanto ciò che per noi appare giusto, forti nella convinzione di quanto abbiamo investito nella relazione, secondo una logica del “do ut des”.

 Ciò può anche corrispondere a verità, ma non fa crescere l’amore. Se ci sentiamo “in credito” si crea un blocco nella comunicazione affettiva la quale, in tal caso, tende a stallare.

Lo stallo relazionale si può declinare in vari modi, in base soprattutto all’educazione affettiva assimilata nella famiglia di origine: può esprimersi nel chiudersi in sé stessi, oppure entrando in conflitto con l’altro, cercando di prevaricare il partner, o anche (e forse è la soluzione peggiore, se diventa la modalità cronica di comunicazione fra i due) si finge che non sia accaduto niente di importante, e si lascia andare, dicendo a sé stessi: “Tanto lui è fatto così e non cambierà mai, ma in fondo va bene così, perché gli voglio bene”.

 Purtroppo la relazione non va avanti a lungo così perché l’amore, per la sua natura dinamica, tende a crescere o a esaurirsi in base al nutrimento apportato: cura, attenzione, ascolto empatico, pazienza (non sopportazione, ma disponibilità a non avere fretta di voler ottenere tutto e subito dall’altro).

Se accade di sentirsi incompresi, delusi, non accolti dal partner è necessario fermarsi a riflettere partendo da due aspetti essenziali:

  1. Essere consapevoli del proprio desiderio profondo, cioè che esso sia autentico, genuino.
  2. Individuare il modo adeguato per esprimerlo al partner.

Le pretese verso l’altro spesso nascono da un irrisolto rapporto con sé stessi per cui si proietta sul compagno delle dinamiche inconsce che andrebbero elaborate in altro modo e non facendo del partner un capro espiatorio della propria insofferenza.

Riuscendo a cogliere il desiderio autentico nei confronti della relazione con il partner possiamo avanzare delle proposte, domande, richieste, ma mai accampare pretese. E’ necessario vedere nell’altro anche l’alterità, “altro da noi” al quale possiamo avvicinarci, a volte unirci, ma non comprendere pienamente, come il verbo stesso ci chiarisce (cum prehendere,  che significa anche afferrare, includere).  

L’amore che tende a diventare maturo formula quindi domande, non accampa pretese.

Se vogliamo far crescere il rapporto affettivo in intimità e complicità è auspicabile rivelare all’altro i propri stati d’animo, le inquietudini, i dubbi e nello stesso tempo anche i propri desideri, senza però accampare la pretesa che questi ultimi siano esauditi. Se ci limitiamo a esprimere i propri desideri riveliamo qualcosa di prezioso di noi alla persona che amiamo e questo suscita o potrà suscitare nell’altro una risposta di accoglienza e di empatia. Questa considerazione spesso viene trascurata, si rimane in silenzio per timore di essere disattesi, restando amareggiati o addirittura adirati.

Facciamo un esempio. Essendo una bella giornata di sole e avendo lavorato tutta la settimana Anna vorrebbe fare una passeggiata insieme a Mario. Ella però non gli chiede di andare con lei perché Anna si aspetta che sia Mario stesso a proporre qualcosa del genere, ben sapendo quanto ad Anna piaccia camminare nei boschi...è ovvio per lei. La donna tace ombrosa e Mario non si spiega tale comportamento e si chiude a sua volta in sé stesso, pensando che lei pensi ad altro. Entrambi, adirati, si dedicano alle loro cose. A sera però lei è piena di rabbia e sbotta riversandogli addosso tutte le responsabilità: “Sei stato tutto il pomeriggio sdraiato sul divano a vedere la partita…senza rivolgermi una parola, non ti importa niente di me!”

Questo è un classico, banalissimo caso di pretesa nei confronti dell’altro fondata sul presupposto che l’altro debba leggere il pensiero della compagna, intuendo i suoi desideri, senza che ella si sforzi di chiedere alcunché.

Per correggere questo atteggiamento mentale estremamente disfunzionale, però purtroppo anche molto frequente in coppia, è necessario innanzitutto entrare in “rapporto con sé stessi” (che cosa desidero veramente?), per poi chiedere all’altro, cioè esprimere i propri bisogni e infine ascoltare in modo empatico la risposta del compagno senza che troneggi la pretesa che il feedback debba essere quello desiderato.

In un sano rapporto di coppia non sempre si può fare tutto insieme, e non è neppure bene che ciò avvenga come abitudine, non sempre condividiamo gli stessi punti di vista, gli stessi bisogni. L’essenziale è che, pur rimanendo fedeli alla relazione, siamo capaci di mantenere la necessaria autonomia emotiva, essendo in grado di non dipendere esclusivamente dalla presenza dell’altro. La pretesa più rischiosa per il benessere di una relazione consiste senza alcun dubbio nel pensare che l’altro, se ci ama, debba renderci felici.

Il compagno rappresenta un valore aggiunto prezioso e insostituibile per la nostra vita affettiva, un dono immenso, però non nostro!

 

“Riempia ognuno la coppa dell’altro, ma non bevete da una coppa sola. Scambiatevi il pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta. Cantate e danzate e siate gioiosi insieme, ma che ognuno di voi resti solo, così come le corde di un liuto son sole benché vibrino della stessa musica.

Kahlil Gibran