Fra le varie categorie dei disturbi di ansia (disturbo di ansia generalizzato, disturbo da attacchi di panico, disturbi di ansia con o senza evitamento, fobia sociale, disturbo da somatizzazione, disturbo di ipocondria etc.) il Disturbo ossessivo compulsivo (DOC) si caratterizza fra i più fastidiosi, invalidanti e non sono veloci da trattare, a causa della difficoltà del soggetto a collaborare in modo autentico e profondo e quindi a sviluppare una relazione terapeutica soddisfacente.

Fra le varie categorie dei disturbi di ansia (disturbo di ansia generalizzato, disturbo da attacchi di panico, disturbi di ansia con o senza evitamento, fobia sociale, disturbo da somatizzazione, disturbo di ipocondria etc.) il Disturbo ossessivo compulsivo (DOC) si caratterizza fra i più fastidiosi, invalidanti e non sono veloci da trattare, a causa della difficoltà del soggetto a collaborare in modo autentico e profondo e quindi a sviluppare una relazione terapeutica soddisfacente.

Sovente è consigliabile un trattamento integrato, considerando sia il punto di vista biologico, eziologico (assumendo farmaci che agiscano sul sistema serotoninergico) che quello psicologico (trattamento di psicoterapia). La psicoanalisi prende in esame il sintomo come espressione dell’incapacità del soggetto di arginare impulsi inconsci in conflitto. Nel disturbo ossessivo compulsivo i conflitti inconsci provocano l’insorgenza dell’ansia e l’Io del soggetto (per ridurre la sofferenza causata da una necessaria elaborazione e da un’analisi profonda dei vari meccanismi inconsci) si tutela difendendosi attraverso un massiccio utilizzo di meccanismi di difesa quali in primis la formazione reattiva, l’isolamento, l’annullamento e mettendo in campo una serie di meccanismi regressivi tipici della fase anale dello sviluppo psicosessuale. Il soggetto, non essendo in grado di gestire armonicamente spinte libidiche e spinte aggressive, rischia di rimanere imprigionato in una fitta rete di dubbi e di indecisioni, rete che apparentemente lo protegge dall’angoscia che un esame del suo disagio comporterebbe. La qualità della vita del soggetto perde in autenticità e capacità espressiva.

Il disturbo ossessivo compulsivo si presenta attraverso pensieri ricorrenti che generano ansia e anche azioni coatte (compulsioni) atte a neutralizzare l’ansia. L’insorgenza avviene nella prima età adulta. Comune sia nei maschi che nelle femmine il cui esordio è più tardivo, verso i 25 anni, contro i 15 anni di insorgenza nei maschi. Il decorso della sintomatologia è generalmente cronico e tende ad accentuarsi di fronte ad eventi stressanti.

Criteri diagnostici per il disturbo DOC.

Quali pensieri invadono la mente del soggetto e quali azioni egli mette in atto per difendersi?

Egli è invaso da pensieri o immagini angoscianti ricorrenti e persistenti che, nel migliore dei casi, egli vive come pensieri inappropriati e intrusivi. Tali pensieri non riguardano la vita reale del soggetto e per questo motivo egli lotta per eliminarli o sostituirli con altri. La consapevolezza che tali pensieri o immagini siano partoriti dalla propria mente accresce il senso di inadeguatezza e di disagio anche se ciò è positivo perché implica il mantenimento del contatto con la realtà.

Ecco che il soggetto necessita di mettere in atto azioni compulsive, cioè comportamenti ripetitivi (per esempio controllare molte volte di aver spento le luci, di aver chiuso la portiera dell’auto, o avverte il bisogno irrefrenabile di riordinare i cassetti in modo coatto, o semplicemente deve lavarsi le mani anche per 30 minuti di seguito per paura di essere stato contagiato). Egli mette in atto un vero e proprio rituale a cui si sottomette, secondo regole assolutamente rigide e ripetitive. Tutto ciò può anche avvenire attraverso azioni mentali (pregare in modo ripetitivo senza coinvolgimento emotivo, contare in senso crescente e decrescente più volte, ripetere determinate parole o frasi innumerevoli volte) vissute come un diktat imprescindibile, pena una catastrofe incombente che pesa sulla sua testa. Esorcizzare con tali comportamenti il pericolo imminente comporta per il soggetto un dispendio di energie e di tempo (anche più di un’ora ogni giorno); ciò interferisce pesantemente sul suo funzionamento lavorativo e sociale.

A livello diagnostico, come sopra già accennato, risulta significativamente importante capire se il soggetto sia consapevole e quindi riconosca che i suoi pensieri sono eccessivi o irragionevoli oppure se egli si identifichi con quei meccanismi che governano temporaneamente la sua mente. Nel caso in cui egli non ne sia consapevole a livello diagnostico si sottolinea infatti “con scarso insight” ed il quadro clinico è più grave.

Piero era un giovane di 25 anni dotato di una spiccata intelligenza. Egli aveva frequentato il terzo anno di ingegneria biomedica con ottimi risultati e si trovava in procinto di discutere la tesi e di iscriversi successivamente alla specializzazione biennale per conseguire la laurea magistrale. Da circa un anno aveva faticato nel portare a termine il corso di studi. Viveva in famiglia dove tutti lo sostenevano considerandolo responsabile e capace. Piero però si era chiuso in sé stesso giustificandosi perché doveva preparare gli esami il cui studio lo occupava tutto il tempo.      Chiuso nella sua stanza usciva solo per mangiare, a volte si faceva portare il cibo in camera, per non sprecare tempo da dedicare invece allo studio. Non usciva con gli amici, era schivo e ombroso con chiunque cercasse di entrare in contatto con lui, anche con i suoi genitori. Piero doveva studiare. In realtà il ragazzo era condizionato da rituali che egli doveva assolutamente mettere in atto, almeno 3 volte durante la giornata, altrimenti, era convinto, non avrebbe potuto assimilare il contenuto dei libri che stava studiando.

Inoltre egli, ogni 3 ore, doveva distogliere la mente dai libri e, ogni volta, il giovane doveva ripetere i numeri da 1 a 100, per trenta minuti, pena il fallimento degli esami. Inoltre, affacciandosi alla finestra che dava su una strada, doveva osservare le auto che circolavano e solo quando appariva una certa auto di un particolare colore Piero poteva ricominciare a studiare. Il tempo impiegato nell’adempimento di questo rituale si aggirava a un’ora che moltiplicato per tre volte diventava veramente insostenibile. Sfiancato da questa “mise en scene” spesso Piero si addormentava vestito sul letto senza avvertire neppure il desiderio di mangiare. Trascorsi diversi mesi in questa condizione, in cui egli non era più in grado di fare niente, dopo aver bocciato due dei tre esami che aveva preparato, i genitori gli consigliarono di consultare uno specialista il quale mi inviò il ragazzo per un percorso di psicoterapia, mentre egli continuava a seguirlo farmacologicamente. Così conobbi Piero. Fu un lungo percorso trascorso insieme durante il quale, molto gradualmente, Piero divenne consapevole dei meccanismi difensivi che avevano governato prepotentemente la sua mente rendendolo, come egli amava definirsi ironicamente (l’ironia è sempre un’arma potente), un soldatino di piombo ubbidiente agli ordini superiori, dicendo questo faceva spesso una smorfia di desolazione. Si rese conto che da quella prigione sarebbe potuto uscire solo se avesse ascoltato i suoi bisogni più intimi e autentici, senza dover assecondare i desideri altrui. Si rese conto che quei rituali da lui messi in atto erano “i suoi amici più cari” perché lo tenevano lontano da tutto ciò che odiava; quella maledetta laurea in ingegneria e la prospettiva di svolgere un’attività in ambito scientifico, la stessa di suo padre che probabilmente avrebbe poi ceduto il suo posto di lavoro al figlio.   Piero amava la filosofia e le scienze umanistiche. Con questa nuova adulta consapevolezza Piero terminò la triennale, rispettando soprattutto i sacrifici dei genitori che lo avevano sostenuto economicamente fino a quel punto. Non si iscrisse alla magistrale, ma decise di andare a lavorare in una casa editrice specializzata nella pubblicazione di testi letterari.

Lì, finalmente, era possibile respirare un buon profumo, diceva sorridendo Piero.